Ludovico Chiapponello di Alcamo, Giuseppe Fanara di Erice, Giuseppe Gennaro di Calatafimi, Andrea Ingraldo di Agrigento, Tommaso e Stefano Leo di Vita, Nicolò Pidone di Calatafimi, Gaetano Placenza di Calatafimi, Antonino Sabella di Castellammare del Golfo, Domenico Simone di Erice e Leonardo Urso di Marsala. Sono questi i nomi dei 13 soggetti che sono stati arrestati ieri dalla Polizia di Stato nell'ambito del blitz denominato “Ruina”, che avrebbe scompaginato un clan mafioso ritenuto particolarmente vicino al sistema del latitante Matteo Messina Denaro. C'è anche un agrigentino, dunque, tra coloro che sono finiti in manette. Andrea Ingraldo è un noto imprenditore agricolo, proprietario di case vacanze a Segesta. E' accusato di aver assunto il presunto boss Giuseppe Aceste, cugino di Nicolò Pidone, nella sua azienda agricola al fine di una rivalutazione della sua pericolosità sociale da parte del magistrato di sorveglianza. Insomma, sarebbe stato a disposizione della cosca, come confermerebbero anche alcune intercettazioni ambientali che sono a corredo dell'inchiesta. In breve, stando agli atti, Nicolò Pidone è ritenuto il capo della famiglia mafiosa di Calatafimi; Aceste, Fanara, Gennaro, Placenza e Barone sarebbero stati i suoi “picciotti”, occupandosi anche dei contatti con esponenti di altre famiglie mafiose, prime tra tutte quelle di Vita e di Castellammare del Golfo, acquisendo la gestione diretta e indiretta e il controllo delle attività economiche, e realizzando degli atti intimidatori. A Pidone, Aceste, Sabella e Fanara viene anche contestata l’accusa di danneggiamento, ossia l’incendio avvenuto nel marzo scorso nella frazione ericina di Napola, dell’auto di proprietà di Antonino Craparotta. Pidone, Aceste e Ingraldo rispondono pure di false dichiarazioni rese all’autorità giudiziaria; Favoreggiamento per Ludovico Chiapponello per avere aiutato Pidone nella ricerca di microspie collocate in un casolare di campagna, dove si tenevano summit mafiosi. Infine, ma non per ultimi i collegamenti con il mondo della politica, con il presunto sostegno del clan all'elezione a sindaco di Calatafimi di Nino Accardo, indagato e che al momento si è avvalso della facoltà di non rispondere. Per lui si parla di corruzione elettorale aggravato dal metodo mafioso. A quanto pare erano stati promessi 50 euro per voto, poi a cose fatte divenute 30. Anche Accardo sarebbe stato incastrato da microspie e testimoni. E' il terzo sindaco in carica indagato dagli inquirenti dopo quelli di Castellammare del Golfo e Paceco. I magistrati, in provincia di Trapani e Belice, setacciano il territorio alla ricerca di tracce concrete in vita di Matteo Messina Denaro.