antimafia denominate “Halycon” e “Assedio”, blitz che avrebbero acceso le luci dei riflettori degli inquirenti su presunti intrecci tra mafia, politica e massoneria deviata in provincia di Agrigento, in particolar modo nel territorio compreso tra Licata e Campobello di Licata.
Difese e Procura generale hanno chiesto, quindi, di riaprire l'istruttoria del processo. In Appello, gli imputati sono 10: in primo grado 8 erano stati condannati, mentre altri 2 erano stati assolti, nell'ambito della sentenza, espressa dal Tribunale di Palermo, lo scorso giugno.
Come si ricorderà, la pena più alta, a 20 anni di reclusione, era stata inflitta ad Angelo Occhipinti, già condannato per mafia ed estorsione, ritenuto il nuovo capo della famiglia di Licata; dodici anni a Raimondo Semprevivo, imprenditore edile, condannato con l'accusa di essere il braccio destro del boss.
Dodici anni anche a Giovanni Mugnos, agricoltore, ritenuto “l’alter ego” di Giovanni Lauria, altro esponente di spicco di Cosa Nostra di Licata, imputato in un altro stralcio del processo. Dieci anni e otto mesi a Giuseppe Puleri, imprenditore, ritenuto componente della famiglia mafiosa di Campobello di Licata; dieci anni e otto mesi al farmacista Angelo Lauria, nipote di Giovanni. Stessa pena per Lucio Lutri, funzionario della Regione Siciliana, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Lutri, in particolare, come si legge negli atti, “grazie alle rete relazionale a sua disposizione quale Maestro venerabile della loggia massonica “Pensiero ed Azione” di Palermo, avrebbe “acquisito e veicolato agli appartenenti alla famiglia mafiosa informazioni riservate circa l’esistenza di attività di indagine a loro carico” e sarebbe intervenuto per favori di varia natura.
Dieci anni e otto mesi a Giacomo Casa, pastore, considerato uno dei membri del clan licatese. Due anni e quattro mesi per l’elettrauto Marco Massaro, accusato di favoreggiamento aggravato per avere rivelato a Mugnos dell’esistenza di microspie all’interno della sua auto.
Tre gli imputati assolti in primo grado: Vito Lauria, massone e figlio del boss Giovanni; Angelo Graci, che, secondo l'accusa, avrebbe avuto spesso il compito di presidiare i luoghi dei summit, e Giuseppe Galanti, accusato di essere il cassiere del clan. Per Galanti l'assoluzione è diventata definitiva poiché il verdetto non è stato impugnato dalla Procura. Per tutti gli altri, parte il Processo di Appello, sempre al Tribunale di Palermo.