Sono 25 i sindaci della provincia che daranno vita alla manifestazione di domani a Roma. Ci saranno i sindaci di Sciacca e Agrigento, Francesca Valenti e Franco Miccichè, il sindaco Matteo Ruvolo di Ribera, Leo Ciaccio di Sambuca, Marilena Mauceri di Menfi, Franco Valenti di Santa Margherita Belice e Margherita La Rocca Ruvolo parlamentare regionale e sindaco di Montevago, per citare solo alcuni dei partecipanti.
Una protesta che monta già dal 2019 con il cartello sociale, del quale fa parte anche la Curia di Agrigento, oltre a sindacati e sindaci, che aveva attuato una serie di manifestazioni, a partire dalla marcia sulla 640 per chiedere maggiori investimenti. Dopo un anno segnato dall’emergenza Covid, il territorio agrigentino auspicava finalmente attenzione per l’ultima provincia d’Italia. E invece, dall’esame del piano si evince che non c’è un serio progetto ferroviario, non viene presa in considerazione la distanza dagli aeroporti, non c’è la volontà di consentire alla provincia di Agrigento di superare il gap infrastrutturale con le altre province, non c’è attenzione per migliorare la viabilità interna e soprattutto non c’è traccia di un impegno concreto per quella che viene ritenuta l’opera più importante e attesa da decenni, ossia il completamento dell’anello autostradale siciliano.
“Siamo stanchi- hanno dichiarato i sindaci in una nota- che i provvedimenti governativi continuino a scippare al Sud quelle risorse necessarie che servono per creare le condizioni minime di sviluppo e di crescita essenziali per non avere un’Italia a due velocità e per arrestare l’emigrazione di tanti giovani per mancanza di lavoro e di opportunità”. Per questo motivo si sono dati appuntamento domani a Roma per chiedere fatti e non incontri interlocutori che rimangono solo nelle agende della politica regionale e nazionale senza portare risorse e investimenti che in provincia di Agrigento sono attesi da molti, troppi anni. Una protesta che viene condivisa e sostenuta dal parlamentare regionale del Pd Michele Catanzaro per il quale non è possibile accettare in silenzio l'esclusione del completamento dell'anello autostradale Castelvetrano-Gela dall'elenco del Recovery plan”.
Nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza si fa espresso riferimento all'attenzione riservata dal Governo al tema del riequilibrio territoriale ed alla destinazione del 40% delle risorse al Mezzogiorno – dice Catanzaro – ma non si comprende il motivo dell'esclusione di questa parte della Sicilia dagli interventi programmati, soprattutto in tema di infrastrutture per una mobilità sostenibile. La delusione per l'esclusione dell'anello autostradale Castelverano-Gela non scalfirà nostra determinazione nel continuare a tutelare le istanze del territorio – aggiunge Catanzaro che domani incontrerà Chiara Braga, responsabile nazionale Infrastrutture del Partito Democratico.
In Sicilia monta la rabbia, dunque, e non solo per i fondi del Recovery. Il 6 maggio a Roma, a protestare, andranno i sindaci delle zone montane dell’isola.
“Non siamo nati per errore sulle montagne siciliane. La fiscalità di sviluppo è essenziale per frenare la desertificazione imprenditoriale e umana” denunciano in un documento.
La Legge obiettivo approvata dalla Regione Siciliana il 17 dicembre 2019, per il riconoscimento delle Zone Franche Montane è in attesa da più di 2200 giorni di essere applicata. E così più di 100 sindaci delle “Terre Alte” di Sicilia e il comitato regionale promotore, giovedì 6 maggio, saranno a Roma, in piazza di Montecitorio per sensibilizzare la deputazione di Camera e Senato a riconoscerla. L’associazione Zone Franche Montane Sicilia riunisce 133 comuni delle nove province siciliane, che insistono al di sopra dei 500 metri sul livello del mare e con una popolazione inferiore ai 15 mila abitanti. Costituita formalmente quest’anno, è impegnata già dal 2015 nella promozione dello sviluppo dell'economia e per la cultura d'impresa delle Terre alte di Sicilia. Si batte per l'attuazione della Fiscalità di sviluppo, una norma di politica economica a difesa del diritto di residenza nelle aree di montagna per scongiurare il declino umano e sociale che interessa le “terre alte” dell’Isola.