la sempre più difficile realtà in cui versa l'ospedale di Sciacca. La pandemia ha soltanto aggravato una condizione di crisi già preesistente, dove le carenze di organico di medici, infermieri e ausiliari si sono pesantemente aggravate. Una condizione dimostrata dalla stessa necessità di dovere fare ricorso ai medici impegnati nelle corsie per far funzionare il più decentemente possibile l'area di emergenza, che talvolta è letteralmente presa d'assedio. Una condizione, quella che ha messo in discussione gli stessi livelli essenziali di assistenza, che fa a pugni con gli ordini di servizio che impongono ai sanitari che lavorano nei reparti del "Giovanni Paolo II" di garantire turni anche negli altri nosocomi della provincia di Agrigento, da Licata a Canicattì. Un aspetto, quest'ultimo, piuttosto paradigmatico di un modello organizzativo che, naturalmente, fa rimpiangere i tempi in cui Sciacca era sede di azienda ospedaliera, la cui autonomia gestionale da Agrigento aveva anche permesso di compiere significativi passi in avanti sul piano di un'offerta sanitaria più adeguata e di strumenti diagnostici moderni e regolarmente sottoposti a manutenzione per cercare di limitare al minimo indispensabile i disagi ai danni dell'utenza. Tuttavia, dopo la riforma firmata Massimo Russo (il governo regionale era quello guidato da Raffaele Lombardo), sull'onda della famigerata "spending review", da queste parti la situazione è nettamente peggiorata. L'accorpamento dell'ospedale di Sciacca nella gestione provinciale dell'Asp di Agrigento ha allontanato (e non solo geograficamente) la soluzione dei problemi.
Naturalmente chiarire che Sciacca non è il centro del mondo, e che i problemi che ci sono qui sono sicuramente gli stessi di tanti altri ospedali, non è superfluo. Ciò non toglie che qualche riflessione meriti comunque di essere fatta. Al "Giovanni Paolo II" la situazione è grave. L'unificazione stabilita dalla rete ospedaliera con il "Fratelli Parlapiano" di Ribera, al netto del fatto che al momento quello è un Covid Hospital, è ancora soltanto sulla carta. Tanto più che la comunità riberese (sia civica, sia politica) non sembra affatto orientata ad accettare il destino di ospedale "complementare" con quello saccense, manifestando anzi rabbia e dubbi sull'idea di reparti e ambulatori che siano differenziati, e non duplicati. La questione del pronto soccorso continua ad essere argomento di forti proteste. Recentemente l'attivista riberese Riccardo Romano ha pubblicato un video in cui polemizza sul fatto che a dispetto di insegne luminose che ne indicherebbero la presenza, di pronto soccorso non ce n'è.
Ma non finisce qui. Lo stesso Covid Hospital non è che sia dotato dei servizi connessi e necessari, tanto è vero che per certe esigenze assistenziali su pazienti positivi pare che si debba comunque fare ricorso a personale sanitario che da Sciacca deve raggiungere Ribera dovendosi portare dietro anche gli strumenti di diagnosi e cura. Si succedono sempre più spesso cose piuttosto strane nella sanità pubblica. Una di queste è sicuramente la decisione di istituire all'ospedale di Castelvetrano un reparto di Emodinamica quando, a pochi chilometri di distanza, ossia a Sciacca, c'è un servizio calato in una delle reti cliniche tempo dipendenti (quella dell'emergenza cardiologica in particolare), basata sulla possibilità di raggiungere il presidio più vicino per un soggetto colto da infarto in appena un'ora. Ma tant'è. Così come è bizzarro che il centro per la cura della talassemia, che a Sciacca assiste 130 pazienti provenienti da diverse zone della Sicilia, venga gestito da un solo medico e tre infermieri. Un solo medico che, evidentemente, non solo non può andare in ferie, ma non può nemmeno permettersi di avere solo un raffreddore. Un esempio che è solo simbolico, perché le carenze sono purtroppo diffuse in qualsiasi reparto. Eppure Sciacca sarebbe ospedale Dea di primo livello e ospedale Spoke.
Il ruolo della politica nella sanità pubblica continua evidentemente ad essere sempre più ingombrante. Ma potrebbe esserci di peggio. La nascita in diversi ospedali siciliani di centri d'eccellenza collegati con gruppi e fondazioni private che gestiscono cliniche modello a livello nazionale (San Raffaele, Fondazione Giglio, Maugeri, Humanitas, Rizzoli, Bambin Gesù e Ismett, tanto per citare i nomi più celebri) dimostrano un orientamento ormai inequivocabile del governo della Regione verso un ruolo sempre più dominante della sanità privata, con la quale si susseguono accordi per l'erogazione di prestazioni all'interno delle strutture pubbliche.
E negli ospedali pubblici mancano i medici, gli infermieri e altro tipo personale, ma mancano anche gli stessi posti letto. La Medicina al momento a Sciacca lavora con un reparto promiscuo, uomini - donne.
Qui a Sciacca quello che si impone, dopo le battaglie del Comitato civico, è una chiamata alla responsabilità della deputazione che rappresenta il territorio. Deputazione che secondo i diretti interessati, non è fino ad oggi riuscita ad incidere nella direzione di scelte strategiche utili al funzionamento di un nosocomio che è decisamente boccheggiante. E si torna a mettere in discussione lo stesso modello gestionale. Il "Giovanni Paolo II" è lontano dal capoluogo, la sanità continua inevitabilmente ad apparire "Agrigentocentrica" quando, se si cambiasse la dislocazione degli ospedali in aree non più blindate dall'appartenenza provinciale, ma sicuramente più coerenti sul piano dei collegamenti viari e della presenza sul territorio, si potrebbe creare una gestione ordinata (per esempio) tra Sciacca e Castelvetrano. Che appartengono però a province divese. Per raggiungere un obiettivo del genere i chiari di luna non sembrano quelli migliori. Ma fino a quando il cittadino si renderà conto della gravità del problema soltanto se e quando avrà avuto bisogno dell'ospedale, questa battaglia non potrà essere vinta.