L'unico appuntamento nel quale questa connotazione non si è concretizzata è stato quello delle ultime elezioni amministrative. Mica poco. In tanti da tempo sostengono che se solo Matteo Mangiacavallo si fosse candidato a sindaco avrebbe potuto vincere al primo turno. Sembrava un'esagerazione. Oggi non lo è più. Non c'è dubbio, infatti, che il risultato venuto fuori dalle urne ieri (quasi 6.000 voti di preferenza nella sola città di Sciacca su un totale di 15 mila in tutta la provincia) rivela una verità incontrovertibile. E questo con buona pace delle presunte controprove ma, soprattutto, dei rigidi (forse troppo rigidi) paletti imposti dalle regole grilline che impedivano al parlamentare saccense di potere correre per la carica di sindaco di Sciacca. Fatto sta che nella città che appena quattro mesi fa ha eletto una giunta di centrosinistra, la lista del Movimento 5 Stelle ha sfiorato il 50% dei voti. Roba che neanche la DC dei tempi d'oro era mai riuscita a raggiungere. Mangiacavallo torna a furor di popolo all'Assemblea Regionale. Ed è questo un risultato importante sul piano personale, che ne consacra la leadership almeno in provincia, in un clima nel quale i grillini per così dire “moderati” da lui rappresentati sono stati più volte bersaglio di critiche da parte di quelli più ortodossi.L'elezione di Michele Catanzaro nel Pd è la “rottamazione” di Giovanni Panepinto, che dopo due legislature dunque rimane a casa. Un Partito Democratico che limita i danni delle divisioni a sinistra e, soprattutto, di un'esperienza di governo, quella accanto a Rosario Crocetta, che è stata sonoramente bastonata dagli elettori. Lo dimostra, plasticamente, il risultato decisamente risicato ottenuto dalla fedelissima dell'ex governatore, Mariella Lo Bello. Ma di rottamati a queste elezioni regionali ce ne sono stati diversi. Dopo vent'anni Michele Cimino ha perso lo scranno regionale. Era il 1996 quando gli allora giovani forzisti Cimino e Alfano entrarono a Sala d'Ercole come gli enfant-prodige della politica agrigentina e siciliana. Oggi la loro parabola sembra essersi conclusa. Come dire che alla fine la storia si racconta con i fatti, e non solo con le parole. Resta fuori da Sala d'Ercole anche Salvatore Cascio, così come si sono chiuse le porte anche per Vincenzo Fontana. Addirittura Alternativa Popolare di Angelino Alfano non ha raggiunto, in Sicilia, la necessaria soglia del 5% per potere accedere alla distribuzione dei seggi. È, questa, la stessa legge elettorale regionale che consente a Giusy Savarino e Roberto Di Mauro di uscire dalla porta (entrambi infatti non sono stati eletti) e di entrare dalla finestra, vista la loro presenza nel listino bloccato del presidente vincitore Nello Musumeci. E così i deputati regionali agrigentini alla fine non saranno 6 ma 8. Oltre a Mangiacavallo e Catanzaro entrano all'ARS anche Margherita La Rocca Ruvolo, Giovanni Di Caro, Carmelo Pullara e Riccardo Gallo. Sicuramente significativo il successo del sindaco di Montevago, che ha ottenuto il giusto riscontro all'interno di una lista che, organizzata dal senatore riberese Peppe Ruvolo, ha deciso di tornare nel centrodestra, sostenendo Nello Musumeci. Nella ripartizione dei seggi a livello regionale, sono 20 quelli andati al Movimento 5 Stelle (19 più Giancarlo Cancelleri), uno a Claudio Fava, 11 al Partito Democratico, 2 a Sicilia Futura, 12 a Forza Italia, 5 ciascuno a Udc e Popolari e Autonomisti, 4 a Diventerà Bellissima e 3 alla Lista Musumeci. Completano il quadro gli eletti del listino e lo stesso Nello Musumeci. È la Sicilia dalle due facce quella venuta fuori dal voto. La stessa Sicilia che se ad Agrigento tributa un grande successo al pentastellato Matteo Mangiacavallo, ad Agrigento premia il figlio di Francantonio Genovese, uno di quegli “impresentabili” che hanno comunque supportato l'affermazione di Nello Musumeci. È la Sicilia che permette perfino a Matteo Salvini di cantare vittoria, dopo la decisione di cancellare “nord” dal simbolo della Lega. Il mondo è strano, ma come lo stesso Musumeci ha detto ieri alla nostra emittente la Democrazia va rispettata. Sul piano politico esce a brandelli la Sinistra. Il saccense Simone Di Paola, capogruppo del Pd, auspica un riavvicinamento con la Sinistra radicale. Quest'ultima può autoproclamarsi la vera Sinistra, e nessuno glielo impedirà mai, ma è anche vero che da sola questa vera Sinistra non è in grado di fare molta strada. Così come non funziona l'atteggiamento di supponenza e un po' arrogante del renzismo, linea politica che continua ad essere sonoramente punita dall'elettorato. Il dibattito è ricominciato. Tra pochi mesi ci saranno le politche. Se qualche partito non cambia strategia, la sconfitta è di nuovo annunciata.