per essere eletto al primo turno, Fabio Termine ribatte che a lui ne sono mancati 16. Conseguenza: l'obiettivo del 40% necessario a Messina per diventare sindaco non sarebbe stato comunque centrato. È quanto viene fuori dal ricorso al TAR di colui che nel frattempo è diventato presidente del consiglio e da quello incidentale firmato dagli assessori, nonché dalla stessa memoria difensiva del sindaco. Siamo entrati dentro questi documenti, spulciandoli e cercando di capire quali possano essere da un lato i riferimenti di Ignazio Messina secondo i quali il risultato elettorale va annullato, dall'altro lato gli elementi di Fabio Termine tesi a smontare le contestazioni del suo avversario. Andiamo con ordine.
Nel suo ricorso, presentato per il tramite degli avvocati Antonietta Sartorio e Stefano Polizzotto, Messina definisce illegittima la proclamazione di Fabio Termine. E questo perché il ballottaggio non ci sarebbe neanche dovuto essere. E sono ben 27 le sezioni per le quali viene chiesto al TAR il riconteggio delle singole schede. Perché sarebbero stati sufficienti 8.715 preferenze a Messina per diventare sindaco al primo turno, avendo superato la soglia del 40%. E invece di voti a Messina ne sono stati assegnati 8.697. Da qui la celebre questione dei 18 voti mancanti. Per gli avvocati sarebbero stati commessi diversi errori di attribuzione dei voti a svantaggio del proprio assistito. Al TAR si denuncia che in diverse sezioni sarebbe stata violata la volontà dell'elettore. E questo perché in diverse schede gli scrutatori hanno trovato più di un simbolo contrassegnato dalla matita copiativa, ancorché all'interno della stessa coalizione, ma anche croci segnate fuori dal riquadro previsto. Schede che per Messina non dovevano essere annullate, quanto meno nella parte riguardante la preferenza a lui spettante. E questo - secondo Messina - vale anche per quelle schede dove l'elettore ha addirittura contrassegnato sia due schede, sia due candidati diversi, oltrepassando la concessione prevista dalla legge per le diversità di genere e, in qualche altro caso, con l'indicazione della scritta "Messina" malgrado il cognome del candidato fosse già prestampato. "Si è trattato di un voto 'rafforzativo'", si legge nel ricorso. E inoltre, per gli avvocati di Messina, la preferenza nei confronti del relativo candidato a sindaco doveva essere garantita, pur in presenza di questi errori. Messina infine contesta la non rispondenza in diverse sezioni del numero totale di schede disponibili dell'ufficio di seggio e di quelle effettivamente votate. Insomma: non c'è solo la questione dei 30 voti rimasti "momentaneamente non assegnati" della sezione 28 tra gli aspetti più delicati di questo ricorso.
Fin qui le contestazioni di Messina. Fabio Termine e gli assessori Dimino, Fisco, Gulotta, Mannino, Patti, Sabella e Sinagra, dal canto loro, hanno presentato sia un ricorso incidentale (per confutare le tesi di Messina), sia una memoria difensiva. Lo hanno fatto affidandosi agli avvocati Calogero Marino, Gigi Rubino e Giuseppe Impiduglia. È nel ricorso incidentale (quello firmato dagli assessori) che si rileva come al primo turno, se il principio di Messina dovesse trovare riscontro, a Fabio Termine sono mancati 16 preferenze. Il motivo è il medesimo: schede elettorali con contrassegni su più simboli (anche della stessa coalizione) e anche in questo caso con l'indicazione della scritta "Termine". Un'ipotesi, quella del cosiddetto "voto rafforzativo", che secondo l'avvocato Marino non è ammissibile, come rivelato da precedenti di giurisprudenza. E di fronte a schede elettorali contenenti più di un contrassegno segnato con la matita copiativa è tutt'altro che riscontrabile la asserita volontà dell'elettore. Ma per gli avvocati di Fabio Termine Messina ha presentato un'istanza contraddittoria e, per questo, irricevibile, inammissibile e infondata. La prima presunta violazione riguarda la tempistica: il ricorso sarebbe stato presentato infatti in ritardo, oltre i 30 giorni dalla proclamazione. Le contestazioni di Messina, inoltre, si basano su dichiarazioni spontanee stragiudiziali (definite "seriali", ossia tutte uguali) dei rappresentanti di lista che tuttavia sono da considerarsi inattendibili, visto che si tratta (tra le altre cose) di soggetti imparentati con singoli candidati. Ancora, per gli avvocati di Fabio Termine la giustizia amministrativa si è già pronunciata più volte in passato contro i cosiddetti "ricorsi esplorativi", come potrebbe configurarsi la riapertura delle schede. Ricorso infine considerato contraddittorio, perché da un lato le presunte irregolarità denunciate avrebbero l'effetto di invalidare del tutto le operazioni elettorali delle sezioni coinvolte, dall'altro lato si chiede solo una correzione del risultato del primo turno. Le due cose vengono considerate incompatibili.
L'attesa adesso è tutta rivolta all'udienza del 9 novembre davanti al TAR. Magistrati amministrativi che dovranno decidere se dichiarare ammissibile o meno il ricorso di Messina e, in quel caso, esaminare anche ricorso incidentale e memoria difensiva. Il tema ovviamente non è soltanto giudiziario, ma come è facilmente immaginabile è essenzialmente è politico. Nel frattempo Messina continua a fare il presidente del consiglio comunale e Termine il sindaco.