Un atto dovuto, naturalmente, non ci sono grossi dubbi ma è un adempimento che va compiuto. La morte "di vecchiaia" del vecchio boss mafioso, il sanguinario organizzatore dell'avvicendamento corleonese al vertice di Cosa nostra a colpi di pallottole e autobombe, richiama alla memoria fatti che riguardano anche lo stesso nostro territorio. Si sa per certo, anche per essere stato acclarato a livello processuale, che durante gli anni della sua lunga latitanza "Totò 'u curtu" più volte fu ospite dell'Hotel Torre Macauda, il cui patron allora era l'imprenditore sambucese Giuseppe Montalbano. Sì, proprio lui: il proprietario dell'ultimo alloggio conosciuto di Riina prima dell'arresto, la villa di via Bernini, poi confiscata e poi affidata all'Ordine dei giornalisti. Figlio di un deputato comunista, il soprannome di Montalbano era "l'ingegnere rosso". Fu lo stesso Tribunale di Sciacca ad approvare le rivelazioni di alcuni pentiti, a partire da quelle di Angelo Siino, il celebre "Ministro dei lavori pubblici" della mafia. Pare che a Torre Macauda si svolgessero gli incontri tra i boss: dal saccense Salvatore Di Gangi a Giovanni Brusca, da Riina a a Matteo Messina Denaro. Destò curiosità il particolare riguardante un veglione di capodanno proprio a Torre Macauda. Riina era tra il pubblico ad applaudire il concerto di Rocky Roberts, quello di "Stasera mi butto", di cui il boss era un grande ammiratore. "La pietà non ci fa dimenticare il dolore e il sangue versato", ha scritto su Facebook il presidente del Senato Pietro Grasso, magistrato che con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ha combattuto Totò Riina. "Riina iniziò da Corleone negli anni '70 una guerra interna alla mafia per conquistarne il dominio assoluto, una sequela di omicidi che hanno insanguinato Palermo e la Sicilia per anni. Una volta diventato il capo - ha ricordato Grasso - la sua furia si è abbattuta sui giornalisti, i vertici della magistratura e della politica siciliana, sulle forze dell'ordine, su inermi cittadini, sulle persone che con coraggio, senso dello Stato e determinazione hanno cercato di fermarne il potere". "La strategia di attacco allo Stato - ha concluso il presidente del Senato - ha avuto il suo culmine con le stragi del 1992, ed è continuata persino dopo il suo arresto con gli attentati del 1993. Quando fu arrestato, lo Stato assestò un colpo decisivo alla sua organizzazione. In oltre 20 anni di detenzione non hai mai voluto collaborare con la giustizia". Pietà, ma non perdono. E un po' di rammarico: "Porta con sé molti misteri che sarebbero stati fondamentali per trovare la verità su alleanze, trame di potere, complici interni ed esterni alla mafia, ma noi, tutti noi, non dobbiamo smettere di cercarla".