il reggente di Cosa nostra Trapanese". E’ su questo assunto che è iniziata oggi l’arringa difensiva dell’avvocata Adriana Vella, legale d’ufficio di Matteo Messina Denaro, nell’udienza di Appello che si celebra a Caltanissetta, che vede l’ex superlatitante imputato come mandante delle stragi di Capaci e via D’Amelio. Mariano Agate, morto dieci anni fa, fu lo storico capo della consorteria di Mazara del Vallo, assurgendo poi al ruolo di esponente di spicco della mafia.
“La sentenza della Corte di Assise di Appello di Catania – ha detto l’avvocata Vella – sulla scorta delle dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, individua in Agate uno dei mandanti della strage di Capaci. Ed allora è evidente che se il predetto Agate Mariano era uno dei mandanti della strage, lo era o in qualità di capo provincia o di reggente della provincia di Trapani, in sostituzione del padre dell’imputato (Francesco Messina Denaro, ndr) con la conseguenza di dovere ritenere errate le conclusioni a cui sul punto è pervenuta la Corte di Assise nel giudizio di primo grado”.
Ancora, la legale del boss ha aggiunto che “la veste di Matteo Messina Denaro come reggente della provincia trapanese, così come sostenuto nella sentenza di primo grado, è smentita emblematicamente anche dal contenuto delle intercettazioni effettuate nel carcere di Opera durante un colloquio tra Salvatore Riina e tale Lorusso, pregiudicato pugliese”. “Nelle parole di Riina – ha proseguito l’avvocata Vella – il padre dell’imputato viene individuato dal capo indiscusso dell’organizzazione quale capo mandamento e non capo provincia. Così diceva Riina: ‘Ora se ci fosse suo padre buonanima, perché il padre era una brava persona, una bella persona’ dice Riina durante quel colloquio, muovendo al contempo un’aspra critica nei confronti dell’imputato per le scelte strategiche fatte da quest’ultimo, ben lontane - ha sottolineato la legale - dalle logiche stragiste, ossia quello di dedicarsi ai profitti derivanti dal mercato dell’eolico”