pubblicato dalla Edizioni San Paolo scritto da don Marcello Cozzi, prete lucano, ex vicepresidente dell'associazione "Libera", impegnato da decenni sul versante del disagio sociale, nell’educazione alla legalità, nel contrasto alle mafie e nell’accompagnamento ai pentiti di mafia e ai testimoni di giustizia, e che ha seguito Brusca nel suo cammino di redenzione. La storia è quella dell'ex boss mafioso sanguinario, responsabile di oltre 150 delitti, che schiacciò il pulsante del comando a distanza che fece esplodere un tratto dell'autostrada A29 che fece saltare in aria il giudice Giovanni Falcone e che fu arrestato a Cannatello, località balneare di Agrigento dove si nascondeva, nel 1996. Stiamo parlando della stessa persona che uccise e sciolse nell'acido il piccolo Giuseppe Di Matteo, una delle peggiori atrocità che si possano commettere. "Mi sono chiesto tante volte cosa significa chiedere perdono per la morte di quel bambino", riferisce Brusca a don Cozzi. "Mi accusano spesso - aggiunge - di non mostrare esternamente il mio pentimento, ma io so che per un omicidio come questo non c’è perdono". È un lungo dialogo quello tra Brusca e don Cozzi. Un confronto dove non ci sono sconti sul passato del criminale, che nel frattempo è diventato un collaboratore di giustizia, e la perdita di tante vittime innocenti. Ma don Cozzi, da uomo di Chiesa, guarda anche alla sofferenza di 'Caino': "Mi porto la ferma convinzione - ha detto all'Ansa - che 'uno così' resta una persona, nonostante tutto, nonostante il male commesso, la morte procurata, il dolore profuso, perché – lo dico da subito – non intendo rassegnarmi all’idea che in fondo la prima vittima di un carnefice è lui stesso", sottolinea l'ex vicepresidente di Libera.
Senza chiedere di dimenticare le sue terribili responsabilità, Giovanni Brusca si apre raccontando il suo percorso, fin dagli inizi: "Fin da bambino ho convissuto con le forze di polizia”, racconta a don Cozzi, “a causa delle frequenti perquisizioni che venivano a farci in casa. E così è stato inevitabile farmi di loro un’idea pessima; i miei genitori, infatti, me li facevano vedere come fastidiosi e cattivi, come se tutti i guai giudiziari di mio padre fossero colpa loro". "Se avessi avuto una scuola attenta, se quelli del comune fossero venuti a cercarmi quando in quinta elementare mio padre mi ritirò dalla scuola per mandarmi dietro alle pecore, forse la mia vita non sarebbe andata come è andata e forse io non avrei pensato che era quello l’unico modo di vivere". Forse. Riflette così sul suo passato il fedelissimo di Totò Riina. Ricordando anche di quando faceva il chierichetto e accompagnava il suo parroco per le benedizioni: "A un certo punto però anche quel legame con la parrocchia si interruppe".
Sul suo ultimo periodo Brusca racconta di essere rimasto colpito quando, uscendo dalla questura per essere portato in carcere, trovò fuori dal portone gente normale, gente onesta, che applaudiva ai poliziotti, urlava e gridava contro di lui cose irripetibili: mostro, bestia e altre cose simili. "Per la prima volta - spiega il mafioso pentito - toccavo con mano quello che realmente le persone pensavano di me. Quando finalmente ho preso coscienza del male che ho fatto - aggiunge - allora per me è stato come entrare in un incubo senza fine".
Nel libro Giovanni Brusca racconta poi anche uno dei momenti più significativi del suo percorso di pentimento: l'incontro con Rita Borsellino, sorella del magistrato Paolo Borsellino. "Fu lei a volerlo conoscere", spiega don Marcello Cozzi in un’intervista a Famiglia Cristiana. "Si incontrarono 15 anni fa in una parrocchia romana. Rita chiese e ottenne che Brusca venisse con moglie e figlio. Scattò in quel momento la scintilla del pentimento, un momento che segnò profondamente il boss mafioso, spingendolo a riflettere sul peso della memoria e della giustizia.
Don Cozzi sottolinea come il suo tentativo di redimere perfino i soggetti più sanguinari avviene senza pacche sulle spalle. L'approccio del prete è segnato da una profonda consapevolezza che "camminare accanto a Caino" significa affrontare il male senza indulgere, ma senza mai dimenticare il dolore delle vittime. "Non c’è dialogo con Caino senza tenere ben presente le vittime", afferma. Riflettendo sul pentimento di Brusca, don Cozzi aggiunge: "Non si tratta di concedere facilmente la redenzione, ma di tirare queste persone fuori dall’abisso in cui sono cadute. L’obiettivo non è perdonare a cuor leggero, ma trovare un percorso autentico, senza mai tradire la memoria di chi ha sofferto".