il cinquantasettesimo anniversario del tragico terremoto che colpì il Belìce nella notte tra il 14 e il 15 gennaio 1968, causando lutti e sofferenze che hanno segnato per sempre la storia della nostra terra». Queste le parole di Renato Schifani, presidente della Regione Siciliana, che così rende omaggio alla memoria di "una tragedia che - aggiunge il governatore - non è solo un ricordo doloroso, ma anche un monito per tutti noi a non abbassare mai la guardia di fronte ai rischi naturali e a impegnarci costantemente per la sicurezza e il benessere delle nostre comunità. La Regione - aggiunge Schifani - è al fianco della popolazione di quella valle, custode della memoria di un territorio che ha saputo risollevarsi con dignità e determinazione. La catastrofe del 1968 - prosegue ancora il governatore - ci ha insegnato l'importanza della solidarietà e della collaborazione. È nostro dovere, oggi più che mai, trasformare quel dolore in uno stimolo per costruire un futuro migliore per le nuove generazioni». Schifani rivolge il suo pensiero alle vittime di quella terribile notte, alle loro famiglie e a tutti coloro che, con impegno e speranza, hanno contribuito alla rinascita della Sicilia.
Un sisma che devastò un'intera valle, cancellando dalla faccia della terra alcuni comuni (tra cui Montevago, Poggioreale, e Gibellina), oltre a mietere centinaia di vittime, un migliaio di feriti e 90 mila sfollati. L'onore della memoria si associa ad un dibattito lungo 57 anni, che trae spunto dai clamorosi ritardi nei soccorsi al ruolo fondamentale svolto dall'ospedale di Sciacca, con a capo l'instancabile chirurgo Giuseppe Ferrara. Il resto è passato alla storia: le baracche, gli stanziamenti per una ricostruzione infinita, con alcune aree dell'Agrigentino (da Menfi a Santa Margherita) che attendono ancora la realizzazione delle opere di urbanizzazione primarie. I retaggi di quel passato sono ancora visibili: a partire dalle discariche di amianto (materiale con il quale erano state realizzate le baracche) di cui, in futuro, si sarebbe scoperta la sua pericolosità per la salute umana. Commissioni parlamentari e nuovi calcoli non hanno ancora permesso di chiudere, dal punto di vista della ricostruzione, questo drammatico capitolo della storia del nostro Paese. Fino a quando nei palazzi della politica è diventato perfino scomodo e incomprensibile continuare a immaginare di stanziare ulteriori fondi pubblici alla Valle del Belice. Un dibattito nel quale si inserisce anche il falso storico sulle cifre stanziate, che però per la Sicilia si sono fermate alla metà di quelle dirette al Friuli Venezia Giulia.
Ma dalla tragedia del terremoto è germogliato anche il seme della speranza. Il primo a raccogliere quella sfida culturale fu Ludovico Corrao. Che chiese al grande artista Alberto Burri di coprire i ruderi della Gibellina distrutta dal sisma con quello che sarebbe stato il grande Cretto, luogo simbolo del riscatto e di una rinascita attraverso l'arte contemporanea. Negli anni Novata a Santa Margherita sarebbe stato Tanino Bonifacio ad affiancare, al dramma del 1968, il recupero della tradizione artistica, quello della Santa Margherita e del Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, all'interno di un percorso dove le testimonianze della tragedia sono finite in un museo della memoria. L'onore alle vittime del terremoto del 1968 oggi passa attraverso il riscatto culturale. Le commemorazioni continuano. Oggi a Menfi santa messa alle 17 nella Chiesa Madre, promossa anche dall'amministrazione comunale. Ieri sera a Montevago fiaccolata cittadina capeggiata dalla sindaca Margherita La Rocca Ruvolo. Diverse le altre commemorazioni in programma, mentre venerdì pomeriggio nella biblioteca comunale i sindaci del Belice, chiamati a raccolta dalla stessa prima cittadina montevaghese, si riuniranno anche per ribadire il proprio no ai mega impianti eolici e alle distese infinite di pannelli fotovoltaici che - denunciano - deturperanno il paesaggio annullandone le potenzialità turistiche ed enogastronomiche.