L’ente nazionale designato per la sua sostituzione, l’Aia, tarda a subentrare per problemi con la Regione, legati alle risorse da trasferire e al personale licenziato da assorbire. E ad oggi sono oltre 15 mila gli allevamenti siciliani in crisi. Da quasi due mesi i controlli necessari alla vendita non vegono rilasciati, con ripercursioni pesanti sulla vendita delle carni. Le verifiche sospese non sono, infatti, quelle sanitarie: i bestiami continuano, quindi, ad essere sani e controllati. Sono i controlli funzionali ad essere in stand by, quelli che, in pratica, consentono di certificare la qualità dei capi, la quantità di produzione, il fatto che la carne provenga da razze in estinsione o pregiate e soprattutto che gli animali siano stati allevati in Sicilia. Un grosso problema per i produttori che senza queste certificazioni sono costretti a dimezzare il prezzo della carne e rischiano di non ricevere più i contributi europei. Un danno che i sindacati stimano aggirarsi attorno ai 30 mila euro l'anno in base alle dimensioni dell'allevamento. Tra un controllo e l'altro, infatti, non può passare un dato numero di giorni, solitamente ottanta, superati i quali vanno in fumo anni di sacrifici sudati dagli allevatori per rientrare in determinati canoni necessari per le certificazioni di qualità. L'Aras ha chiuso i battenti i primi di marzo e le aziende che hanno effettuato gli ultimi controlli settimane o mesi prima, adesso rischiano di svendere la carne. Situazione drammatica anche per i 120 ex dipendenti dell'Aras, poiché l'Aia a quanto pare intende assumerne solo poco più della metà. Sindacati all'opera e già per la giorata di oggi è previsto un incontro con l'assessore Cracolici per discutere su assunzioni e pagamenti. La vertenza, purtroppo, rischia di andare per le lunghe, anche se l'assessore regionale all'agricoltura cerca di distendere gli animi affermando che, invece, mancano soltanto gli ultimi dettagli per avviare il lavoro dell'Associazione Italiana Allevatori.