C’è anche questo tra gli indicatori di una più o meno latente insoddisfazione tra i cittadini, nel solco di una storia però già vista, in una società complessa come quella di Sciacca. Società nella quale l’appuntamento elettorale si trasforma in una sorta di grande spedizione punitiva contro chi ha governato, tanto da scoraggiarlo a riprovarci.
E non è certamente da oggi che la “luna di miele” tra Sciacca e la sua amministrazione è terminata. C’è già chi chiede il conto, chi gioca sulle contraddizioni, chi addirittura sulle presunte promesse mancate. Ma se Francesca Valenti ha permesso al centrosinistra di tornare al governo di Sciacca, dodici mesi di amministrazione hanno già confermato quanto da tempo è noto, ossia che fare opposizione è comodo, amministrare è complicato. A qualcuno questa apparirà una delle massime banali del compianto Max Catalano, ma la crisi di fiducia tra elettori ed eletti è un tritacarne nel quale in tempi record finiscono speranze ed aspettative.
Su questo scenario hanno un’incidenza tutt’altro che secondaria perfino gli slogan elettorali. Quello scelto dallo staff dell’attuale sindaco fu impietoso: mai più cinque anni così. Fabrizio Di Paola non l’ha ancora digerito, ritenendolo ingiusto, avendo lui dato il massimo per la causa pubblica. Ma il massimo, si sa, non basta. Non basta mai.
C’è voluto poco così per capire che “mai più cinque anni così”, corretta o scorretta che fosse l’invocazione, conteneva anche una serie di promesse che, aldilà di un giudizio netto nei confronti del passato, sarebbe stato difficile mantenere. Il cittadino saccense, per natura antropologica insoddisfatto, si lamenta già: strade, viabilità, sporcizia, crisi economica, parcheggi: ogni giorno l’elenco è rinfoltisce. Non vale granché amministrare oculatamente, seminare bene, programmare lo sviluppo.
Si sa, infatti, che da queste parte i meriti di chi ha amministrato bene vengono incassati “in differita”, a distanza di anni. Ne sa qualcosa Ignazio Cucchiara. Nella contingenza, invece, nella vulgata popolare ad avere ragione è sempre chi grida di più, chi dice che le cose non vanno bene. Conseguenza: scende la popolarità del sindaco e degli assessori. Vale per chi amministra oggi, vale per chi amministrava ieri. Situazione che conferma che in cinque anni di lavoro una minoranza non può limitarsi a bocciare la maggioranza e a cavalcare la tigre della rabbia della gente.
Sì, perché non è sufficiente al consigliere di opposizione inveire per una lampadina spenta, interrogare per una buca in strada, interpellare per un incarico discutibile, polemizzare per la scelta di una procedura piuttosto che un’altra perché se poi lo stesso consigliere avrà a proprio favore il consenso elettorale, in tempi brevi diventerà il nuovo destinatario degli stessi improperi. E si accorgerà che stare dall’altra parte è più comodo e richiede meno responsabilità. Se n’è accorta perfino Virginia Raggi. Mai più cinque anni così è la conferma che il cittadino ascolta quello che in quella fase storica vuol sentirsi dire.
Francesca Valenti non aveva mai amministrato, eppure sa per prima di avere intercettato il malcontento popolare nei confronti di Di Paola. A cui, diciamocelo con tutta franchezza, si sono attribuite responsabilità superiori a quelle reali, a partire dalla scandalosa decisione di chiudere le Terme. Va detto che all’attuale sindaco si stanno attribuendo colpe che non ha. Ma nello spegnere la sua prima candelina, Francesca Valenti si è data la sufficienza per quello che è riuscita a fare, promettendo che adesso si comincia a fare sul serio. Sa per prima, evidentemente, che gli sciacchitani sono già delusi. Ci si mette poco, da queste parti, a passare da un carro allegorico all’altro.