Quasi una denuncia del modo e di ciò che non sarebbe dovuto accadere nella sua vita. Un epilogo che ci dice tanto su Michele. Ci dice dell’inevitabile amarezza che ha accompagnato Michele verso la fine dei suoi giorni in un paese così lontano sulle rive del pacifico. Troppo lontano e non solo geograficamente, da Sciacca e dal suo modo di essere ‘sciacchitano’. Magari lui in quel paese ci stava pure bene, forse riusciva a quietare il demone interno che anima chiunque abbia fatto politica in modo cosi totalizzante, diversamente da come si fa ora, certo in un diverso contesto. Io non lo so. Ma una cosa mi sembra certa. Questa città dovrebbe ravvivare almeno ora nel proprio animo il disappunto e l’amarezza per questa enorme distanza anche metaforica che il destino ha voluto frapporre fra se stessa ed un uomo che ne è stato sindaco per due volte. Un buon sindaco. Si, il disappunto di una comunità, lo dico nella speranza che il tempo abbia potuto restituire una serenità di giudizio a cui in certi momenti in tanti hanno rinunciato, che avrebbe il dovere di non dimenticare il calvario personale che Michele ha subito per via di una vicenda giudiziaria che lo ha travolto e da cui è uscito indenne ma profondamente segnato. Segnato nell’animo, nella sua dignità di uomo pubblico,di politico volitivo. Segnato nel fisico che ha conosciuto i ripetuti insulti di diverse ed aggressive patologie a cui Michele non aveva più la vecchia tempra da contrapporre per difendersi. Forse queste sue ricorrenti permanenze di lavoro in Perù lo aiutavano a mettere anche fisicamente una grande distanza con pezzi della sua vita politica che avrebbero potuto riservagli finali assai diversi e meno amari. Almeno a me piace pensare così. Vale per il modo in cui si è conclusa la sua parabola di amministratore, vale per la sua mancata elezione al senato per pochi voti. In ogni caso quello che ha politicamente avuto se lo è conquistato, con una grinta ed una preparazione politica e culturale, sempre più estranea ai giorni nostri e senza la quale non avrebbe potuto nemmeno varcare la soglia di un partito strutturato e forte com’era a Sciacca il P.S.I. di Mimmo Segreto e di Francesco Russo, per citare solo due emblemi della vecchia guardia. Michele non era, peraltro, una personalità che si estrinsecava nel basso profilo e nella ordinarietà. A modo suo era un leader. Dico a modo suo perchè rifuggiva da quella che nel gergo del P.C.I. si chiamava la sintesi unitaria. Preferiva essere il primo nel suo villaggio politico che il secondo a Roma. Ed a ciò sacrificava a volte qualche necessaria mediazione, qualche passo indietro tattico, una paziente tessitura. Queste doti ‘Togliattiane’ non erano il suo forte. Per l’appunto lui era un socialista che aveva una formazione politica estranea alle liturgie che sovraintendevano la formazione ed il governo dei gruppi dirigenti nel partito comunista. La qualcosa lo rendeva per certi aspetti più liberal, eterodosso, moderno, ma anche più vulnerabile nell’affrontare i marosi delle guerre intestine al P.S.I. A volerci pensar bene il fortissimo legame politico che aveva per Sciacca poiché si accompagnava con una riluttanza ad assumere primari ruoli di dirigente in campo provinciale e regionale ha finito per costituire il suo tallone di Achille. In ogni caso una personalità prorompente. In una squadra centravanti, in un’orchestra primo violino, in una giunta comunale... sindaco...ma solo nelle giunte di sinistra. Questo è il Michele che ricordo. Il Michele alla testa di fantasiose e dissacranti feste della matricola. Il Michele del Corsaro, che assieme ad un indimenticato vicè Santangelo animava un ristorante allo stazzone di buona cucina con prezzi che nel mio caso venivano generosamente stracciati. Il Michele della ‘zzotta, fucina di tante battaglie d’opposizione al nascente e rinnovato potere democristiano che aveva in Lillo Manninno il suo massimo rappresentante. Il Michele sindaco ed io vice di un’amministrazione di sinistra nell’1983 che ‘ha ballato una sola estate’. Troppo forte la D.C. per consentire il proseguimento di quella insidiosa esperienza. Pur di segnare la fine dell’amministrazione di sinistra, il partitone di Mannino, Cusumano e Di Paola, non esitò a rinunciare al sindaco ed a cedere la sindacatura al piccolo PSDI di Allegro. E siccome non è vero che si vale solo per le vittorie, mi piace ricordare di una sconfitta che in quella circostanza abbiamo condiviso. Nel tentativo di mettere al riparo la crescita urbanistica della città dal disordine e dall’assenza di servizi incaricammo quasi tutti i tecnici di Sciacca di redigere piani particolareggiati e perciò con l’impulso di una unitaria programmazione urbanistica, per impedire che l’espansione andasse avanti con piani di lottizzazione di iniziativa privata inevitabilmente destinata ad una crescita caotica e non qualificata, come poi purtroppo avvenne. Michele era dotatissimo nella politica urbanistica, ed i suoi confronti, in questo caso convergenti,con Totò Leonte, riconosciuta autorità in materia, toccavano vette di alta scuola. Com’era nelle nostre previsioni fummo mandati a casa in pochi mesi… e la politica locale, tranne che per qualche breve parentesi, assunse per un lungo periodo i tratti dell’egemonismo democristiano. Quella volta della candidatura al senato gli consigliai di non candidarsi alle regionali che precedevano e che era il caso di sostenere una candidatura ‘altra’ del territorio per averne il sostegno alle nazionali. Ma il suo temperamento ho le logiche interne al suo partito glie lo impedirono. Mancarono nel tradizionalmente forte collegio di Sciacca del P.S.I. solo 700 voti per cogliere un traguardo che avrebbe meritato e che avrebbe saputo interpretare al meglio, nel solco di una tradizione di parlamentari locali che facevano del legame con il territorio la loro cifra. Ora è giusto che che tanto di lui resti nella memoria collettiva di questa città. In tempi inclini con leggerezza alla rimozione del passato ed animati da eccessi iconoclasti sempre inutili e spesso funzionali a coprire qualche miseria del nostro presente, sarebbe un modo onesto di onorarne la memoria. Di Michele ci mancheranno la sua intemperanza culturale, la sua statura politica, il fascino di una personalità un po' bohemienne. A me resterà anche la mal celata invidia per la sua ricca e disinvolta chioma,come gli dicevo sempre suscitando il suo intimo compiacimento. Un giorno... anche lontano, sarebbe bello potersi rivedere.