medico ematologo, fondatore della Banca del cordone ombelicale di Sciacca. Aveva 79 anni. Domani alle 15,30 alla Chiesa Madre i funerali.
il nostro ricordo.
«Ho già fatto domanda per tornare a lavorare alla banca del cordone ombelicale. Lo farò da volontario». Dopo l’ultima assoluzione che ancora mancava, il medico ematologo Lillo Ciaccio ha dato l’ennesima lezione a tutti. Pur provato nel fisico, il suo spirito di combattente è tornato subito alla ribalta. «Dobbiamo far tornare la banca del cordone ai fasti di un tempo. È possibile farlo, il dottor Filippo Buscemi, che mi ha sostituito dopo l’incidente, è una persona preparatissima. Ce la faremo». Lillo Ciaccio adesso ha 74 anni. Gli ultimi otto li ha trascorsi a difendersi in tribunale da una raffica di accuse gravissime: procedure scorrette di conservazione dei cordoni ombelicali, peculato, danno erariale, turbativa d’asta e truffa.
Uno alla volta tutti i capi d’imputazione sono caduti. Assolto, assolto, assolto e assolto. Non solo lui. Anche Michela Gesù, la biologa suo braccio destro. Quest’ultima piange mentre ripercorre le vicende che hanno visto crollare un mito. La banca del cordone ombelicale di Sciacca era la prima in Europa e la seconda nel mondo per numero di sacche cordonali conservate in azoto liquido. Fino a quando, nel 2007, la Guardia di finanza non è venuta ad apporre i sigilli. Via tutto, la banca non esiste più. I reati ipotizzati dalla magistratura, effettivamente, erano piuttosto gravi. Ne sono scaturiti processi a raffica. Tutti conclusi con la dichiarazione di non colpevolezza di Lillo Ciaccio. Che per questa vicenda fu anche licenziato in tronco dal vertice dell’allora azienda ospedaliera Giovanni Paolo II. Ma un altro giudice, quello del lavoro, ha già dichiarato ingiusto quel licenziamento e condannato l’Asp a sborsare 493 mila euro di risarcimento danni in favore di Lillo Ciaccio.
«Potevamo salvare la vita di un bambino francese», racconta con le lacrime agli occhi Michela Gesù. «Avevo individuato la sacca di sangue cordonale compatibile con quel bambino. Lo avevo fatto d’intesa col registro donatori di midollo osseo di Parigi (il cordone ombelicale contiene le stesse cellule del midollo osseo, ndr). Ma, poi, la banca del cordone fu sequestrata, e io trasferita al laboratorio analisi a occuparmi di azotemia ed emocromo. Scrissi alla direzione, spiegando che non c’era tempo da perdere, che c’era un bambino da salvare, che io sapevo dove si trovasse la sacca giusta, che mi autorizzassero a recuperarla. Non mi fu consentito. Anzi, la sacca fu dichiarata incompatibile. Ma non era così. E quel bambino francese nel frattempo è morto».
Chi fosse reduce da una disavventura simile potrebbe anche avere voglia di mandare tutto al diavolo. Lillo Ciaccio no. Lui, anzi, si arrabbia con chi gli chiede di godersi la vecchiaia. «È sbagliato disimpegnarsi. E io non lo farò. Riprenderemo da dove abbiamo interrotto con l’incidente». Già, lui l’inchiesta giudiziaria la definisce “incidente”. Ma perché? «Non voglio pensare che quello che è successo obbedisse ad una sorta di regia occulta. Ecco perché mi piace definirlo “incidente”». Lillo Ciaccio è questo. È quello che dice che l’accusa che più delle altre gli ha fatto male è stata quella di non aver seguito le procedure corrette per conservare il sangue cordonale raccolto. «Abbiamo sperimentato la procedura Nat, la migliore in assoluto. Siamo stati i primi a farlo. Poi la commissione scientifica dell’Unione Europea ha indotto il Parlamento di Strasburgo ad approvare una legge che introducesse la stessa procedura come obbligo». La stessa procura della repubblica durante l’ultima udienza del processo culminato con l’assoluzione ha chiesto il proscioglimento di Ciaccio e Gesù. E anche quello di due responsabili di case farmaceutiche finite nel mirino con l’accusa di essersi accordate con Ciaccio per rifornire la banca con dispositivi inutili.
Eccolo qui Lillo Ciaccio. Pronto a riprendere la battaglia. A credere che si possa riprendere il cammino interrotto alcuni anni fa. Con una forza fisica un po’ più limitata. Ma con quella dell’anima pronta di nuovo a cercare di salvare un’altra vita. Come se nulla fosse accaduto.