indagati, ossia un terzo dell'attuale Giunta. Si tratta, in ordine temporale di inchiesta, di Mimmo Turano, Marco Falcone, Totò Cordaro e Roberto Lagalla. Una situazione che sta facendo riemergere con forza la cosiddetta "questione morale" posto che nessun commento in merito è stato mai rilasciato, finora, dal Presidente Nello Musumeci, ma anche dalla compagine del centrodestra e dal Partito Democratico. Non solo la Giunta, nel mirino degli inquirenti pure 19 deputati regionali, di cui 13 di maggioranza, e un totale di oltre 147 mila voti al centro di varie inchieste che, se confermate, potrebbero provare come le elezioni regionali del 2017 non siano state limpidissime. Sono numeri, un pò imbarazzanti, che cominciano a dare più di un pensiero al Presidente della Regione.
I 4 assessori indagati si difendono sostenendo che, per loro, si tratti di posizioni marginali, in inchieste che non hanno alcuna connessione l'una con l'altra. Ciò non toglie come la Sicilia resti al centro del dibattito quasi sempre per indagini e non per svolte politiche positive. “L’unico denominatore comune sulle indagini è l’imbarazzante silenzio di Musumeci, anche se comprendiamo le sue enormi difficoltà: i voti di chi è ora indagato o, peggio, arrestato, hanno contribuito a portarlo alla guida della Regione. Sarebbe pertanto enormemente complicato per lui prenderne le distanze” dice il capogruppo del Movimento 5 Stelle all’Ars, Francesco Cappello. “Ormai – dice Cappello – è estremamente difficoltoso tenere aggiornata la contabilità dei provvedimenti della magistratura che hanno colpito politici alla corte del presidente". "Comprendiamo il nervosismo di Musumeci, finora ha collezionato più indagati che riforme. Solo nella sua giunta - conclude Cappello - ce ne sono quattro, 13 in tutta la maggioranza. In un Paese normale sarebbe successo il finimondo".
Di questione morale si dovrebbe parlare in un dibattito in una delle prossime sedute dell'ARS come concordato col Presidente Gianfranco Miccichè.