Oltre che con due mesi e mezzo di ritardo, la cassa integrazione che lo Stato sta riconoscendo ai lavoratori che per colpa del coronavirus hanno perso la propria occupazione, ammonta ad appena 4 euro l'ora. E così sono importi ben poco soddisfacenti quelli accreditati nelle scorse ore nei conti correnti di chi ha dovuto rinunciare al proprio lavoro. È, questo, solo uno dei punti deboli di una ripartenza delle attività commerciali e imprenditoriali che non può essere definita a parole ma solo con l'esperienza diretta. Come quella del ristoratore Nino Bentivegna.
Insomma: tutti parlano di ripartenza. Ma quanto è difficile colmare la differenza tra teoria e pratica? Le misure di contenimento imposte dalla lotta contro il coronavirus, hanno modificato radicalmente l'approccio nei confronti della propria attività imprenditoriale di centinaia di migliaia di commercianti. A partire da chi si occupa di somministrazione di cibo e bevande.
E così, dal certificato in linguaggio ultra burocratico che si è costretti a sottoscrivere prima di prendere solo un caffè seduto al tavolino di bar, al dimezzamento dei coperti nei ristoranti, la prospettiva è tutt'altro che rassicurante. È questo, anche se c'è chi continua ad avere fiducia.
Eppure, più che contributi a fondo perduto (o per meglio dire oltre a quelli), gli imprenditori chiedono l'esenzione dal pagamento delle tasse. Perché rimanere chiusi per due mesi e mezzo, ma dovendo continuare a pagare i fornitori oltre che tributi, utenze e bollette varie, alla fine il rischio è che si generino solo grossi buchi nell'acqua. Sul tema l'ex sindaco Messina ha preso posizione con una lettera aperta, in cui riferendosi alla situazione di Sciacca teme un'emergenza povertà, che rischia di essere peggiore del Covid, e lamenta l'assenza di progetti e strategie, e in questa direzione propone una task force gratuita composta da imprenditori, lavoratori e amministratori con idee utili a rimettere in moto la macchina economica.