riferita alle attività di contrasto alla criminalità organizzata in provincia di Agrigento, è dedicata all'operazione denominata Passepartout, quella che ha visto gli investigatori ritenere di avere inferto un duro colpo nei confronti di quella che viene considerata a tutti gli effetti la famiglia mafiosa di Sciacca, con i 5 provvedimenti restrittivi inflitti, tra i quali quelli ad Accursio Dimino e Antonello Nicosia, nell'ambito di uno scenario da cui, oltre a pianificazioni di danneggiamenti (e perfino di un omicidio nei confronti di un imprenditore di Sciacca allo scopo di rilevarne le attività e le ricchezze), si sarebbe caratterizzato anche per la ricostituzione di una rete di relazioni, anche internazionali, tra la famiglia di Sciacca e quelle d'oltreoceano (Canada e Stati Uniti).
Significativo, per la DIA, è stato il tentativo operato da Antonello Nicosia di incidere sui regimi detentivi speciali, vista la ormai nota facoltà da lui avuta di potere accedere all'interno delle carceri come collaboratore della parlamentare Giusy Occhionero, avendo in questo modo contatti con alcuni reclusi di Cosa nostra – con l’intento di interferire nella gestione del sistema carcerario italiano allo scopo – scrive la DIA – di ridimensionarne la portata afflittiva, ufficialmente per scopi nobili ma, in realtà, per alleggerire l’espiazione della pena ai propri sodali”.
Una relazione per il resto assai corposa, che vede un territorio, quello agrigentino, dove la mafia (ma anche la sua organizzazione concorrente, ovverosia la “stidda”) condiziona in maniera purtroppo assai concreta la vita pubblica e quella economica, in un organigramma che, secondo la DIA, vede oggi all'opera almeno 7 mandamenti (Agrigento, Burgio, Cianciana, la Valle del Belice, Santa Elisabetta, Canicattì e Palma di Montechiaro) e 42 famiglie mafiose all'opera.
Il catalogo criminale oggetto delle azioni di questi soggetti è corposo: estorsioni, intimidazioni, danneggiamenti, ma anche fatture false (per il riciclaggio di denaro) e anche gli appalti pubblici, il condizionamento della pubblica amministrazione (sono due i comuni sciolti per mafia, Santa Elisabetta e San Biagio Platani). Comuni dove la stessa gestione commissariale non nasconde di dovere fronteggiare comunque gli appetiti della criminalità sui progetti che si portano avanti, come per i lavori sul depuratore di San Biagio. C'è poi naturalmente il settore della diffusione degli stupefacenti.
Ma è una mafia che ormai ha cambiato volto, con un'attenzione oggi assai intensa rivolta nei confronti del tessuto politico-imprenditoriale, non disdegnando rapporti con la massoneria, e con interessi sul ciclo dei rifiuti ma anche su servizi che gli enti pubblici hanno la facoltà di affidare senza gare d'appalto, sulla scia di condizioni di emergenza che, tuttavia, chiarisce l'antimafia, spesso vengono create ad arte per raggiungere i peggiori scopi criminali. Una lotta serrata, quella della DIA, che ha fornito risultati significativi, come rivelano non solo le diverse operazioni antimafia portate avanti (due quelle che hanno fatto finire sotto scacco la mafia di Licata, ma anche quelle di Santa Elisabetta e Cattolica Eraclea), ma anche le interdittive antimafia inflitte ad aziende di tipo diverso, non solo le imprese edili ma anche il settore delle pompe funebri, del noleggio di attrezzature, dell'ortofrutta, perfino dei parafarmaci. Il tutto con, sullo sfondo, rapporti di collaborazione sempre più intensi tra la mafia agrigentina e quelle delle altre province: Palermo, Catania, Caltanissetta, Trapani (in quest'ultimo caso soprattutto con Castelvetrano, la zona di controllo del superboss latitante Matteo Messina Denaro).