scoperto ad occuparsi di affari lucrosi, politica e tessere alleanze con i clan confinanti. Ennesimo arresto per Giuseppe Costa: i Carabinieri e la Direzione Investigativa Antimafia lo hanno messo in manette stanotte, segnando un nuovo colpo alla mafia trapanese, dopo il blitz “Ruina” di pochi giorni fa. Costa è accusato di associazione mafiosa, di aver partecipato a summit con i capimafia del trapanese e di essere ricorso a violenze per riscuotere i crediti vantati dai boss finiti in carcere. Costa è stato indicato dagli inquirenti come uno dei principali soggetti del trapanese in grado di mobilitare consenso e sostegno verso Cosa nostra. Si tratta di un nome noto, pesante. Fu uno degli squallidi protagonisti del sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito Santino Di Matteo, sequestrato e poi ucciso e sciolto nell'acido affinché il padre ritrattasse le sue rivelazioni sulle stragi del '92 e sull'excursus criminale di Totò Riina. Il piccolo Giuseppe fu tenuto segregato dal novembre 1993 sino all’11 gennaio 1996 quando fu ucciso.
Il corpo del bambino, segnato dalla lunga detenzione, piagato, legato ad un muro come un animale, fu poi sciolto nell’acido. Giuseppe Costa è stato condannato per essere stato uno dei suoi carcerieri, rimanendo in carcere dal 1997 al 2017. Vent'anni di galera. Per parte del suo sequestro, infatti, Giuseppe Di Matteo, era stato nascosto in territorio di Custonaci, dentro una cella, in un podere nella disponibilità di Costa, che avrebbe avuto, negli anni passati, rapporti diretti e indiretti con i capimafia Matteo Messina Denaro, Vincenzo Virga e Vito Mazzara, il killer dell'agente Giuseppe Montalto. Costa ebbe, dunque, un ruolo attivo in quel sequestro e, una volta condannato, non ha mai collaborato con la giustizia. Scontata la pena, a quanto pare, si è subito inserito nuovamente nel tessuto sociale e mafioso di Custonaci e del trapanese. Dal 2017 fino a pochi giorni fa, Dia e Carabinieri lo hanno monitorato, pedinato, intercettato. Si sarebbe occupato del controllo di aziende di cemento e di carburanti, di campagne elettorali e compravendite di voti, ed era pronto a risolvere controversie impugnando armi o con intimidazioni. Castellammare del Golfo, Paceco, Calatafimi, adesso Custonaci e prima ancora Vita e Salemi. Riflettori degli inquirenti che, quindi, restano ben accesi sulle dinamiche mafiose del trapanese e del belicino.