A chiedere la revisione del processo (quello che dopo tre gradi di giudizio lo aveva visto tra i condannati in via definitiva per l'omicidio di Michele Cangialosi) è stato Nicola Piazza. Ma la Corte di Cassazione ha detto di no. Ricorso rigettato e, dunque, rimane confermata la condanna a 30 anni di reclusione (dieci dei quali già scontati) che gli era stata inflitta dopo il primo grado di giudizio (al culmine di un processo celebrato con il rito abbreviato). Condanna (la stessa per la moglie della vittima, Celeste Saieva, e per Paolo Naro, un amico di Piazza, coinvolto nell'assassinio) poi confermata nei successivi appelli. Nella trasmissione di Franca Leosini "Storie Maledette", Celeste Saieva (la moglie di Cangialosi, accusata di averlo ucciso con la complicità dell'amante, ovverosia Nicola Piazza, e di altri due amici, uno dei quali minorenne) durante l'intervista nel carcere di Bollate aveva gridato ancora una volta la sua innocenza, ammettendo di non essere in grado di chiedere la revisione del processo per mancanza delle necessarie risorse economiche. Cosa che invece è riuscito a fare Piazza, anche se non con l'esito da lui sperato.
La vicenda risale al 2008. Sono i primi di maggio quando Celeste Saieva, mamma di due bambini all'epoca di 3 e 7 anni, denuncia ai carabinieri di non avere più notizie da qualche giorno del marito, un manovale di 30 anni. Ma gli investigatori (e poi le sentenze della magistratura) stabiliranno che mentre denunciava quel fatto, la donna sapeva fin troppo bene dove si trovasse l'uomo: sepolto sotto terra in campagna, in località Santa Maria. A indicare ai militari il luogo esatto del ritrovamento era stato un minore (che sarebbe poi stato condannato a 9 anni e 4 mesi dal competente tribunale), che aveva preso parte all'operazione omicida.
Secondo la ricostruzione dei fatti, effettuata grazie alla confessione del giovane, avvalorata anche dai rilievi del RIS, e che i giudici di tre diversi tribunali hanno condiviso, erano stati pianificati l'omicidio e l'occultamento del cadavere. Questi i fatti (in estrema sintesi): il 20 aprile del 2009 Michele Cangialosi va a dormire nella sua camera da letto dopo aver ingerito con l’inganno della moglie a cena un potente sonnifero. Più tardi i tre uomini raggiungono l'abitazione. L'uomo viene immobilizzato, picchiato, strangolato con un filo di ferro e rinchiuso nel baule dell'auto. Ma durante il viaggio si scopre che Cangialosi è ancora vivo. E allora viene finito prima a colpi di pietra e poi di zappa, infine il seppellimento. L'inchiesta si avvalse anche dell'intercettazione effettuata in procura degli indagati mentre aspettano il loro turno di venire interrogati dalla polizia giudiziaria.