avrebbe continuato regolarmente ad esercitare il ruolo di capo della famiglia mafiosa di Agrigento, veicolando e ricevendo informazioni con gli altri boss attraverso l'avvocato canicattinese Angela Porcello. È solo una delle scoperte fatte dai carabinieri e dalla Dda di Palermo nell'ambito di un'inchiesta culminata stamattina con 23 arresti. Proprio Canicattì viene considerato "l'epicentro" del potere mafioso di Falsone, nel quale confluiscono anche le famiglie di Campobello di Licata (il paese di origine di Falsone), di Licata e di Ravanusa. L'avvocata Porcello, compagna di Giancarlo Buggea, considerato il primo fiancheggiatore di Falsone, avrebbe organizzato summit mafiosi nel suo studio legale, ritenendolo luogo non soggetto ad investigazioni. E invece i carabinieri hanno scoperto che proprio dentro quello studio si sarebbero svolti incontri che hanno riguardato esponenti mafiosi di primo piano, tutti considerati capimafia dei territori di appartenenza: dal ravanusano Luigi Boncori al favarese Giuseppe Sicilia, dal licatese Giovanni Lauria al villabatese Simone Castello. Quest'ultimo considerato un fedelissimo storico di Bernardo Provenzano. Ma non è tutto. Per gli investigatori a quei summit partecipava regolarmente anche Antonino Chiazza, considerato esponente di vertice della "Stidda" che, dunque, sarebbe rinata in un ambito di rapporti stretti e di spartizione delle attività criminali sul territorio con Cosa nostra, e che avrebbe avuto tra gli organizzatori gli ergastolani che godono del regime di semilibertà Antonio Gallea (ritenuto il mandante dell'omicidio del giudice Rosario Livatino) e Santo Gioacchino Rinallo. I carabinieri ritengono di avere scoperto l'azione mafiosa sul territorio che sarebbe stata esercitata da Calogero Di Caro, considerato l'attuale capo del mandamento di Canicattì. Tutti soggetti che avrebbero agito d'accordo con i mandamenti di almeno altre tre province siciliane (Palermo, Catania e Trapani), a suggellare l'unitarietà dell'azione mafiosa. Un'organizzazione mafiosa che avrebbe controllato e sfruttato il settore commerciale della compravendita di uva e di altri prodotti ortofrutticoli, settore nel quale gli inquirenti hanno rivelato di avere sventato l'uccisione di almeno due persone (un mediatore e un imprenditore) che non avevano pagato il pizzo. Ma c'è di più. L'Antimafia ha scoperto che la famiglia mafiosa agrigentina avrebbe stabilito contatti concreti con la famiglia mafiosa newyorkese dei Gambino, con l'obiettivo di avviare articolate attività di riciclaggio. Tra le linee d’azione considerate più importanti da cosa nostra vi è quella dell’inabissamento, esigenza particolarmente sentita anche con riguardo alle inchieste giornalistiche, secondo l’esempio di PROVENZANO Bernardo per il quale rimanere invisibile era una inderogabile regola di vita. La particolare ampiezza dell’azione investigativa ha cristallizzato, inoltre, la perdurante posizione apicale, nell’ambito di cosa nostra, di Matteo Messina Denaro, il superlatitante di Cosa nostra che, dunque, evidentemente, continua ancora ad essere il capo della stanza dei bottoni, continuando a decidere, continuando a dare ordini. Gli indagati devono rispondere a vario titolo di associazione mafiosa, concorso esterno, favoreggiamento personale, tentata estorsione e altri reati aggravati poiché commessi al fine di agevolare l'attività dell'associazione mafiosa. L'inchiesta riguarda anche un ispettore e un assistente capo della polizia, accusati di concorso esterno in associazione mafiosa, accesso abusivo al sistema informatico e rivelazione di segreti d'ufficio, e un avvocato. Gli indagati rispondono a vario titolo di mafia, estorsione, favoreggiamento aggravato. L'indagine è stata portata a termine dai carabinieri del ROS, con il supporto operativo dei Carabinieri del Comando Provinciale di Agrigento e l’ausilio dei Comandi Provinciali di Trapani, Caltanissetta e Palermo, del XII Reggimento “Sicilia”, dello Squadrone Eliportato Cacciatori “Sicilia” e del 9° Nucleo Elicotteri. L'inchiesta è coordinata dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, dall'aggiunto Paolo Guido e dai pm Gery Ferrara, Claudio Camilleri e Gianluca De Leo.