Fa discutere la concentrazione di ricoveri degli ultimi giorni all'interno del reparto di Medicina Covid (quello che comprende anche alcuni posti letto di terapia subintensiva) dell'ospedale "Giovanni Paolo II" di Sciacca. Una situazione che è figlia dell'escalation di nuovi contagi che si sta registrando sul territorio provinciale e che è culminata con la istituzione di diverse "zone rosse", tra cui quella di Sciacca. Un tema che giocoforza sollecita ancora una volta quel dibattito lungo ormai 12 mesi sulla indisponibilità, ad oggi, di quel Covid Hospital di Ribera (che negli intenti dovrà essere anche il viatico per il Centro per le Malattie Infettive) che attende però ancora un via libera definitivo dai piani alti della Regione. Tempi lunghi, lunghissimi, per meglio dire, che neanche lo stesso manager dell'Asp di Agrigento Mario Zappia si aspettava, se è vero che non più tardi di un paio di settimana fa il commissario non aveva esitato a dichiarare che poteva addirittura dichiararsi conclusa l'emergenza nel reparto di Medicina dell'ospedale di Sciacca. Unità operativa che, dunque, avrebbe potuto tornare al suo funzionamento originario. È stato Tuccio D'Urso, commissario regionale per l'emergenza Covid delegato dal presidente della Regione Nello Musumeci, a dire che bisognava ancora aspettare. Lo ha fatto al culmine del suo sopralluogo all'ospedale, per una verifica delle modalità con le quali i finanziamenti regionali da lui gestiti erano stati impiegati, tra locali adeguati, gas medicali, ventilatori e altre attrezzature diagnostiche.
Ed è, quello della permanente indisponibilità del "Fratelli Parlapiano", uno dei temi per i quali il Comitato Civico per la Sanità di Sciacca ha chiesto un nuovo incontro al commissario dell'Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento Mario Zappia. Una richiesta che giunge dopo uno scambio epistolare molto garbato tra le parti. Il 5 di questo mese Zappia aveva comunicato al portavoce del comitato Ignazio Cucchiara la disponibilità dei primi posti letto a Ribera, notizia importante ancorché giunta al culmine di un percorso tortuoso e pieno di ostacoli. Eppure i ricoveri vengono effettuati ancora solo a Sciacca e ad Agrigento. Evidentemente le cose faticano a sistemarsi. Tanto più che la situazione difficile che si è venuta a generare proprio a Ribera, dove si stanno sfiorando i 100 contagiati, non può non trascinare nella discussione proprio la questione ospedaliera. E così, in una nota firmata da Cucchiara e dal coordinatore del comitato Franco Giordano, nel definire "anomala" la situazione del reparto di Medicina dell'ospedale di Sciacca (le cui attività di ricovero e in regime ambulatoriale sono interrotte ormai da un anno), il comitato chiede a Zappia un nuovo vertice che permetta di fare il punto della situazione su strutture e assistenza Covid, su Terapia subintensiva e intensiva e sulla campagna di vaccinazioni.
Fanno notare, Cucchiara e Giordano, che è perfino inutile stigmatizzare le conseguenze in termini di disagi e di ordine economico che il protrarsi del blocco della Medicina ha comportato e continua a comportare per pazienti e loro famiglie. La percezione prevalente è quella di una sanità pubblica la quale, chiamata a gestire l'emergenza Coronavirus, sembra essere stata costretta purtroppo a tralasciare le altre malattie. La sensazione, a fronte della necessità urgente di disporre del "Fratelli Parlapiano", è che non ci sia ancora il personale necessario per fare funzionare il "Covid Hospital", così come sembrano tutt'altro che pronti i posti letto in terapia intensiva. Criticità su criticità che non possono non generare ansia e preoccupazione. E la conclusione, in un comune quasi zona rossa come anche Ribera, è che per eventuali ricoveri di cittadini riberesi o dell'entroterra bisognerà fare ancora riferimento o al "Giovanni Paolo II" oppure al "San Giovanni di Dio".
Questa la situazione, che purtroppo sembra essere assai simile a quella che la scorsa estate aveva visto i componenti del comitato Sanità promuovere dei sit-in di protesta all'ingresso dell'ospedale, per manifestare il timore di un'intera collettività nei confronti di una struttura ospedaliera decisamente sotto pressione.