sovrintendeva personalmente al funzionamento delle famiglie mafiose di Sciacca e Ribera, con un'attenzione particolare ad un versante che gli interessava molto e che riguardava anche la Valle del Belice, da Montevago a Sambuca. È questo solo uno dei sostanziali riferimenti contenuti nelle mille pagine di motivazioni depositate nell'ambito della recente ennesima condanna all'ergastolo inflitta al superboss latitante castelvetranese come uno dei mandanti delle stragi del 1992. I giudici della corte d'assise di Caltanissetta hanno considerato fondate le dichiarazioni del pentito Giovanni Brusca nella parte in cui questi indica come certificati i rapporti (risalenti al periodo compreso tra il '92 e il '93) tra gli uomini d'onore saccensi (da Di Gangi a Dimino e Ambla) e Matteo Messina Denaro in persona. Questioni che erano emerse anche all'interno della sentenza del processo Avana, quello che era scaturito dalla celebre operazione antimafia che aveva decapitato la famiglia mafiosa di Sciacca. Le intercettazioni hanno rivelato come gli uomini d'onore di Sciacca consideravano Matteo Messina Denaro il nuovo capomafia della provincia di Trapani al posto del padre ma con influenze anche nelle altre province. Fu Riina, secondo la corte d'assise di Caltanissetta, a chiedergli di intervenire allo scopo di ricomporre le tensioni tra alcune delle consorterie agrigentine dopo i contrasti scaturite dall'omicidio del riberese Giuseppe Colletti.
Rapporti stretti, dunque, quelli tra i mafiosi di Sciacca e Messina Denaro, ma anche tra loro ed altri esponenti di spicco di cosa nostra della provincia di Trapani, tra cui il mazarese Mariano Agate, che aveva forti interessi nel settore dei calcestruzzi. I contenuti della sentenza scaturita dal processo Avana (celebrato a Sciacca e che risale al 1995) sono finiti dunque dentro le motivazioni dell'ergastolo inflitto a Messina Denaro. Si fa riferimento per esempio alle rivelazioni di diversi collaboratori di giustizia ma anche al contenuto di specifiche intercettazioni ambientali fatte presso il consorzio di prodotti di conglomerato cementizio denominato “Sciacca Terme”. Intercettazioni da cui sono venute fuori notizie considerate da investigatori, inquirenti e giudici significative anche sul ruolo del gruppo mafioso saccense che faceva capo a Di Gangi, quello di Montevago comandato da Giuseppe La Rocca e quello riberese gestito da Simone Capizzi. Un territorio ampio, dal Belice a Ribera, che faceva riferimento a Cosa nostra e che vedeva molto interessato Matteo Messina Denaro