La procura della Repubblica di Sciacca ordina il blitz antimafia che passerà alla storia con il nome di "Operazione Avana", dal sigaro che colui che viene presentato ai giornalisti come il boss di Sciacca Totò Di Gangi è aduso fumare. Non solo lui, come si scoprirà, ma anche alcuni tra i suoi stessi picciotti fumano il cubano. Il procuratore capo si chiama Carmelo Carrara, che d'accordo con l'aggiunto di Palermo Teresa Principato sgomina in una sola notte quella che viene considerata l'intera consorteria mafiosa saccense. I mandati di cattura sono firmati dal sostituto Morena Plazzi, il comandante della compagnia dei carabinieri di Sciacca è Sandro Sandulli. Arresti che fanno rumore, tanto rumore, anche perché tra chi finisce in manette ci sono persone più o meno considerate fino ad allora insospettabili. Ma quello che si apre è uno squarcio nella vita cittadina, i cui abitanti improvvisamente scoprono di essere al centro di un crocevia di interessi torbidi e fino a quel momento condotti sottotraccia. Tanto più che verso la fine di quello stesso 1993 di operazione antimafia con epicentro Sciacca ce ne sarà un'altra, che verrà denominata "Avana 2". I destinatari degli ordini di custodia cautelare sono gli stessi della precedente, più qualche altro soggetto, tutti (più o meno) insospettabili, considerati fiancheggiatori o favoreggiatori.
È il tempo in cui la città di Sciacca diventa consapevole di essere stata sede di quella che, eppure, gli investigatori considerano una potentissima famiglia mafiosa, addirittura "succursale" di massima fiducia dell'ala stragista di Cosa nostra, quella che fa riferimento ai corleonesi di Totò Riina. Il capo è lui: Salvatore Di Gangi. Nativo di Polizzi Generosa, direttore delle agenzie di Sicilcassa prima a Burgio, poi a Siculiana, infine a Ribera prima di trasferirsi a Sciacca. Lavoro, quello di bancario, che però Di Gangi ad un certo punto lascia per diventare imprenditore (ramo calcestruzzi) e titolare di un'agenzia di viaggi. E viene considerato un fedelissimo del capo dei capi, quel Totò Riina che da qualche settimana, mentre scattano gli arresti dell'operazione Avana, ha smesso di essere l'irraggiungibile primula rossa della mafia, essendo stato arrestato in viale Regione Siciliana nel discusso blitz (quello che non proseguirà con la perquisizione del suo covo di via Bernini, alimentando nello Stato sospetti e veleni). Poi il nome di Di Gangi viene spesso associato a quello di Matteo Messina Denaro.
"A Sciacca c'è la mafia", commentano in molti in città dopo gli arresti, un po' tra il serio e il faceto, come se si trattasse di una cosa bizzarra. Ma invece, evidentemente, quella cosa così bizzarra non è. Si scopre infatti che da almeno 16 anni a Sciacca è attiva la famiglia mafiosa. Di Gangi ne avrebbe assunto il controllo nel 1983, prendendo il posto del riberese Calogero Colletti, assassinato per volontà di Totò Riina. Intercettazioni, pedinamenti e indagini patrimoniali permettono agli investigatori di scoprire affari e infiltrazioni anche ai più alti livelli dello stesso palazzo di giustizia, da cui qualche talpa informava il boss. I magistrati riferiscono che la consorteria di Sciacca era stata incaricata da Riina di uccidere due agenti di polizia penitenziaria di Pianosa perché avevano maltrattato dei detenuti eccellenti. È quando scoprono che la famiglia di Sciacca ha intenzione di uccidere un imprenditore che non vuole piegarsi alle pretese della mafia che scattano gli arresti.
Da allora la vita di Di Gangi è stata al centro di interessi di diverse altre operazioni antimafia. Scontata una pena gliene sarà inflitta un'altra. L'ultima quella a 13 anni e 4 mesi che stava scontando nel carcere di Asti per effetto della sentenza scaturita dall’inchiesta antimafia “Montagna” del 2018. Recentemente il suo nome era tornato alla ribalta nell'ambito di un'inchiesta secondo cui la mafia sarebbe tornata ad essere padrona di Torre Macauda, dopo anni di gestione giudiziaria e la successiva vendita ad una società immobiliare. Venerdì sera Di Gangi era stato scarcerato per gravi motivi di salute su disposizione della corte d'Appello di Palermo. Pare che avesse gravi deficit cognitivi. Eppure era solo sul treno Genova - Roma da cui è stato fatto scendere perché non aveva il Green Pass.