E così è fermo da diversi giorni il funzionamento del reparto di Urologia dell'ospedale "Giovanni Paolo II" di Sciacca. L'unico dirigente medico in servizio (peraltro non dipendente ma incaricato) è in grado di garantire soltanto le visite ambulatoriali e le eventuali consulenze all'area di emergenza e agli altri reparti. Inevitabilmente sono stati sospesi i ricoveri, ovviamente anche gli interventi chirurgici programmati. La prospettiva, anche col rientro di un altro medico previsto a giorni, è quella di una condizione nella quale all'unità operativa dovrebbe essere concesso soltanto un po' di respiro. Tuttavia la situazione è destinata comunque a rimanere complicata e di difficile gestione. Tanto più che non possono essere garantite nemmeno le reperibilità per eventuali emergenze. Niente urologia, dunque.
Gestione impossibile, figurarsi come potrebbe essere una gestione che vada al di là dell'ordinaria amministrazione. È, quello che vi stiamo raccontando, solo un simbolo di una condizione difficilissima, che sconta anche il problema della mancanza sul mercato di specialisti urologi a cui, pure, l'Asp di Agrigento sarebbe disponibile a fare ricorso attraverso incarichi specifici. Potrebbe profilarsi all'orizzonte lo spostamento in reparto di qualche chirurgo, ma l'urologia è una branca specifica della medicina specialistica, cosa che non può essere risolta attraverso mobilità interne. Per non dire che con le carenze di medici al Pronto soccorso nei mesi scorsi qualche medico della chirurgia generale ha dovuto garantire turni in area di emergenza. La stessa cosa era stata richiesta proprio agli urologi. Al "San Giovanni di Dio" di Agrigento stando a quanto risulta il reparto di urologia funziona a pieno organico. A Sciacca i medici in servizio (a prescindere dal fatto che al momento ne può lavorare solo uno) dovrebbero essere 7.
Sembra sia stata esclusa l'ipotesi di dirottare al "Giovanni Paolo II" qualche urologo in servizio ad Agrigento. Eppure è noto come da Sciacca e da reparti svariati (a partire dalla cardiologia) siano diversi i medici destinatari di ordini di servizio per andare a garantire turni negli ospedali di Canicattì e Licata. Nella coperta sempre troppo corta della disponibilità di personale, alla fine di mezzo ci sta andando ancora una volta l'assistenza sanitaria minima da garantire ai cittadini. In una politica che si sta attardando oltre ogni misura immaginabile a spostare case di comunità e altri presidi da finanziare con il Pnrr da un posto all'altro, quella che emerge è uno stato delle cose che rimane preoccupante. Anche perché, se alla fine dello stato di emergenza per il Covid non si assocerà immediatamente un ritorno alla normalità negli ingressi delle persone in ospedale, l'emergenza sarà tutt'altro che finita. Perché se un ospedale rimarrà blindato e ci saranno pazienti che continueranno a morire da soli senza il conforto di un parente, non si capisce quale tipo di emergenza cesserà il 31 marzo.