ha condannato la Repubblica Federale di Germania, “quale governo successore del Terzo Reich”, a risarcire con quasi 80 mila euro gli eredi di Pietro Buscetta, di Partanna (Trapani), riconosciuto vittima di deportazione, prigionia di guerra e riduzione in schiavitù.
L’uomo, deceduto nel 1992, aveva preso parte alla seconda guerra mondiale come allievo finanziere di terra. Nel 1943 aveva fatto parte del XIV Battaglione Mobilitato, impegnato in operazioni belliche al confine italiano lungo i Balcani. Dopo l’armistizio dell’8 settembre Buscetta avrebbe dovuto fare ritorno a casa. Ma, come altri 600 mila militari italiani, fu catturato in territorio italiano dai militari tedeschi (ancora presenti nel Nord Italia) e deportato in un campo di detenzione in Germania, dove rimase per 2 anni, fino al 1° ottobre del 1945.
Periodo nel quale il soldato fu ridotto in stato di sotanziale schiavitù, privato dello status di prigioniero di guerra, costretto a lavori usuranti e non retribuiti, denutrito, percosso, privato delle scarpe e sottoposto a condizioni igieniche pessime.
Il tribunale saccense ha dunque ritenuto fondato l’atto di citazione presentato dai 4 figli dell’uomo, considerando il trattamento subito da Buscetta come “crimine di guerra e contro l’umanità, lesivo dei diritti inviolabili della persona”.
In ordine al procedimento, l’Ambasciata tedesca in Italia aveva invocato l’immunità giurisdizionale in quanto stato estero. Ma il giudice, facendo anche ricorso ad alcune sentenze precedenti della stessa Cassazione, non ha accolto l’eccezione. Un pronunciamento specifico della Suprema Corte considera che “l’assoggettamento ai lavori forzati debba essere annoverato tra i crimini di guerra”.
Durante le udienze è stata ammessa la testimonianza di un nipote di Pietro Buscetta, che ha riferito il contenuto di un racconto di anni prima in cui lo zio, parlando proprio del periodo in cui era stato prigioniero in Germania, ricordava di come fosse stato costretto “a mangiare bucce di patate o erbaccia”, e di come , quando non riusciva a raggiungere gli obiettivi di produzione dei lavori forzati a cui era costretto, veniva “bastonato a sangue”.
Ancora, Buscetta aveva raccontato di avere tentato la fuga insieme ad altri prigionieri. I nazisti li sorpresero, sparando contro di loro. Buscetta si salvò perché si finse morto. Riuscito finalmente a scappare, tornò a casa dopo un viaggio lungo e difficile, in parte a piedi in parte con mezzi di fortuna, giungendo a Partanna denutrito e irriconoscibile.
“La responsabilità di tali fatti – osserva il giudice nella sua sentenza - deve essere ascritta al Terzo Reich trattandosi di crimine commesso dalle forze armate tedesche”.
Il giudice ha respinto la richiesta di risarcimento del danno patrimoniale (invocato dai figli di Buscetta per la mancata percezione di retribuzione a fronte del lavoro prestato durante il periodo di deportazione), mentre ha accolto la richiesta del danno non patrimoniale, quello scaturito dalle sofferenze fisiche e psichiche subite dal soldato durante la prigionia per la ingiusta privazione della libertà personale. Risarcimento quantificato in 40 mila euro più la stessa somma per gli interessi maturati nel corso degli anni.