la figlia dello storico boss di Campobello di Mazara Leonardo Bonafede, sarebbe stata uno dei perni intorno al quale ha potuto ruotare la clandestinità di Matteo Messina Denaro già a partire dalla metà degli anni ‘90. È questa una delle ragioni del suo arresto, disposto dal Gip del tribunale di Palermo Alfredo Montalto su richiesta della Dda e operato dai carabinieri del Ros. L'accusa è grave: favoreggiamento e procurata inosservanza di pena aggravati dall'aver agevolato Cosa nostra. E’ indagata per gli stessi reati anche Martina Gentile, la figlia della maestra.
Laura Bonafede è la donna diventata celebre per il fotogramma delle telecamere di videosorveglianza del supermercato dove fino a 2 giorni prima del blitz alla clinica "La Maddalena" aveva incontrato il boss. Ma secondo gli inquirenti non solo è stata la donna di Matteo Messina Denaro, ma ha fatto parte a tutti gli effetti della rete di complici che ha protetto il capomafia durante la sua latitanza.
La maestra avrebbe provveduto alle necessità di vita quotidiana del latitante, gli avrebbe fatto la spesa per fargli avere rifornimenti temendo che potesse essere contagiato dal Covid e non potesse uscire. Ancora: avrebbe condiviso con lui un linguaggio cifrato per tutelare l’identità di altri protagonisti della rete di protezione del boss e curato con maniacale attenzione la sua sicurezza. Ma i due si sono incontrati regolarmente per anni in segreto, in due luoghi indicati nelle lettere d'amore ritrovate dai carabinieri con termini cifrati: "tugurio" per uno, "limoneto" per l'altro.
“Laura Bonafede - scrive il gip nell'ordine di cattura - dopo avere conosciuto Matteo Messina Denaro nel 1997, ha addirittura instaurato con lo stesso uno stabile rapporto quasi familiare coinvolgente anche la figlia Martina Gentile, durato dal 2007 sino al dicembre 2017 quando venne necessariamente interrotto a seguito di un'importante ennesima operazione di polizia, per poi riprendere, appena ‘calmatesi le acque’ negli ultimi anni sino all'arresto del latitante il 16 gennaio 2023”. La maestra, insomma, era legata a Matteo Messina Denaro da quello che i magistrati definiscono "un pluridecennale rapporto ed aveva, in molteplici occasioni, condiviso con lui spazi di intimità familiare, a volte in compagnia della figlia tanto che i tre si definivano ‘una famiglia’”. I due, secondo quanto scritto dalla stessa Bonafede in una lettera trovata dai carabinieri del Ros, si sono conosciuti nel 1997, quando Matteo Messina Denaro era già latitante insieme al padre Francesco. Entrambi erano protetti da Leonardo Bonafede, il padre di Laura, che aveva “concesso” alla figlia di far visita a Matteo Messina Denaro.
Cugina del geometra Andrea Bonafede, colui che ha prestato l’identità al boss, allo stesso modo cugina del dipendente comunale, anche lui di nome Andrea Bonafede, che provvedeva a fargli avere le ricette mediche firmate dal dottor Tumbarello e necessarie alle terapie da affrontare per le cure del cancro, nonché di Emanuele Bonafede, uno dei vivandieri del padrino arrestato insieme alla moglie, la maestra è sposata con il mafioso ergastolano Salvatore Gentile, tuttora detenuto per aver commesso due efferati omicidi su ordine proprio di Messina Denaro.
Per la figlia di Laura Bonafede Martina la procura aveva chiesto gli arresti domiciliari. In questo caso però il gip ha rigettato l’istanza per mancanza dei gravi indizi di colpevolezza, pur stigmatizzando i comportamenti della giovane, legata al capomafia da un forte rapporto di affetto. Il boss, Martina e la madre avrebbero condiviso anche periodi di convivenza durante la latitanza di Messina Denaro. Dopo l’arresto del capomafia nato a Castelvetrano i carabinieri hanno trovato una lettera scritta da Martina Gentile al capomafia che svela, secondo il gip “un affetto quasi filiale nei confronti di Messina Denaro, affetto, peraltro, intensamente contraccambiato da quest'ultimo, che apprezzava, soprattutto, l'adesione di Martina ai valori mafiosi del nonno Leonardo Bonafede, mettendola a confronto con i differenti comportamenti della propria figlia naturale”. Martina Gentile per il magistrato “ha certamente intrattenuto col latitante rapporti epistolari utilizzando gli stessi nomi convenzionali già contenuti nella corrispondenza tra la madre e il boss. Dunque, è stata certamente (almeno parzialmente) messa a conoscenza di tale ‘codice’ necessario per preservare la latitanza di quest'ultimo”. Nonostante questo, per il magistrato, a carico della ragazza non risulterebbero condotte concrete di favoreggiamento. Dopo una lunga frequentazione col boss, la giovane non l’avrebbe infatti più visto se non, per caso, il 21 dicembre 2022 (come racconta lei stessa in una lettera), e sarebbe rimasta all'oscuro della grave malattia di cui il capomafia soffre. Per il giudice inoltre è insufficiente, “anche per la sua indeterminatezza ed assenza di concretezza”, la generica disponibilità manifestata dalla ragazza al latitante con la frase, scritta in una lettera: "se posso fare qualcosa per te”.
Nella sua ordinanza il gip parla di scoperte “sconcertanti” sui trent'anni da ricercato numero uno di Messina Denaro. “Quel che disorienta è che in tutto questo lunghissimo arco temporale la tutela della latitanza è stata affidata, non a soggetti sconosciuti ed inimmaginabili bensì ad un soggetto conosciutissimo dalle forze dell'ordine e cioè a quel Leonardo Bonafede da sempre ben noto, oltre che come reggente della ‘famiglia’ mafiosa di Campobello di Mazara, soprattutto per la sua trascorsa frequentazione ed amicizia con il padre di Messina Denaro”, sottolinea il gip chiedendosi, nemmeno tanto tra le righe, come la Bonafede, intercettata dalla polizia almeno fino a due mesi prima della cattura del capomafia, abbia potuto beffare gli investigatori.
Le indagini dei carabinieri del Ros seguite alla cattura del padrino, secondo il giudice, “mettono in luce l'incredibile ed inspiegabile insuccesso di anni ed anni di ricerche in quella ristretta cerchia territoriale compresa tra Castelvetrano e Campobello di Mazara, costantemente setacciata e controllata con i più sofisticati sistemi di intercettazioni e di videosorveglianza di tutti i luoghi strategici che, tuttavia, come oggi si è scoperto, non hanno impedito che il più ricercato latitante del mondo potesse condurre, in quegli stessi luoghi e per molti anni (almeno ventisei), una ‘normale’ esistenza senza neppure nascondersi troppo, ma anzi palesando a tutti il suo viso riconoscibile (almeno per i tantissimi che lo avevano conosciuto personalmente)”. Gip convinto che ci siano prove tuttora nascoste degli affari criminali di Messina Denaro, soprattutto per la cura maniacale del latitante nella annotazione di qualsiasi accadimento della sua vita,
L’inchiesta è stata coordinata dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia, dall’aggiunto Paolo Guido e dal pm della Dda Gianluca de Leo.