dell'ergastolo in corte d'assise d'appello a Caltanissetta per Matteo Messina Denaro, ritenuto responsabile del piano stragista dei primi anni Novanta, a partire dagli eccidi di Capaci e via D'Amelio, che un carabiniere ed un politico di Mazara del Vallo sono finiti agli arresti domiciliari. Sono accusati di avere tentato di vendere al noto e discusso fotografo dei Vip Fabrizio Corona documenti segreti sulle indagini sulla cattura del superboss arrestato lo scorso gennaio dopo una latitanza lunga trent'anni. Il militare si chiama Luigi Pirollo, ed è accusato di accesso abusivo al sistema informatico e violazione del segreto d’ufficio. Il suo presunto complice, che si chiama Giorgio Randazzo, ed è un consigliere comunale di Mazara del Vallo, deve difendersi dall'accusa di ricettazione. L’indagine è stata coordinata dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido. Secondo la ricostruzione dei pm, il carabiniere, in servizio al Nucleo Radiomobile della Compagnia di Mazara del Vallo, si è introdotto illegalmente nel sistema informativo dell’Arma, estraendo copia di ben 786 files riservati relativi alle indagini sulla cattura del padrino, e li ha consegnati a Randazzo. Quest'ultimo, secondo la Dda di Palermo, ha contattato Fabrizio Corona e ha cercato di vendergli i documenti che evidentemente, e per ovvie ragioni, erano top secret. Poi, su indicazione dello stesso fotografo, Randazzo si è rivolto a Moreno Pisto, direttore del quotidiano online Mow, proponendogli di acquistare il materiale.
I carabinieri hanno perquisito la casa milanese di Fabrizio Corona. Anche lui naturalmente è indagato per ricettazione nell'ambito della stessa inchiesta. E d'altronde sono state le stesse intercettazioni disposte a carico di Fabrizio Corona a dare input all'indagine. Gli investigatori avevano scoperto che, dopo la cattura di Messina Denaro, Corona era venuto in possesso di una serie di audio di chat tra il boss e alcune pazienti da lui conosciute in clinica durante la chemioterapia quando, ancora ricercato, usava l'identità del geometra Andrea Bonafede. La circostanza spinse gli inquirenti a mettere sotto controllo il telefono del fotografo. In una delle conversazioni intercettate, che risale al 2 maggio scorso, Fabrizio Corona fece riferimento a quello che definì uno "scoop pazzesco" di cui era in possesso un consigliere comunale, poi identificato in Randazzo, grazie a non meglio specificati carabinieri che avevano perquisito i covi del capomafia e che volevano vendersi il materiale. Nei giorni successivi Corona ha continuato a manifestare l'intenzione di rivendere il materiale che il consigliere gli avrebbe procurato.
Il 25 maggio scorso Pisto, Randazzo e Corona si sarebbero incontrati. In quella occasione il giornalista di Mow, con uno stratagemma, sarebbe riuscito in segreto a fare copia dei file a lui mostrati e offerti dal politico. Visionatili e resosi conto della delicatezza del materiale si è rivolto a un collega che gli ha consigliato di parlare con la polizia. Pisto, allora, è andato alla Mobile di Palermo e ha raccontato tutta la vicenda. Sulla base delle sue testimonianze gli investigatori hanno cominciato a indagare e hanno scoperto, attraverso indagini informatiche, che i documenti copiati dal giornalista ad insaputa del consigliere erano stati rubati e che l'autore del furto era Pirollo che aveva lasciato tracce del suo "ingresso" nel sistema e che era uno dei soli due ufficiali che avevano avuto accesso al server della Stazione di Campobello (l'altro carabiniere è risultato estraneo ai fatti). Continuando a indagare gli inquirenti hanno inoltre scoperto che il carabiniere aveva rapporti di frequentazione con il consigliere. Il tentativo di piazzare i file è stato così sventato e sono state chiarite a quel punto le parole di Corona intercettate a maggio.
E’ una sentenza che è stata pronunciata in nome del popolo Italiano e come tale va rispettata. Fermo restando la possibilità, prevista dal nostro ordinamento, di poterla impugnare”. Lo ha detto l’avvocato Adriana Vella al termine dell’udienza del processo a Matteo Messina Denaro condannato dalla Corte d’Assise d’Appello di Caltanissetta alla pena dell’ergastolo come mandante delle stragi di Capaci e via D’amelio. “Dobbiamo conoscere le motivazioni di questa condanna – ha detto l’avvocato Vella, difensore d’ufficio di Messina Denaro - ma resta ferma la mia convinzione sull’assenza di elementi sufficienti per ritenere confermata la responsabilità di Matteo Messina Denaro in ordine alla deliberazione del piano stragista che comprende anche le stragi di Capaci e via D’Amelio, cioè quelle che vengono contestate in questo processo”.
Al difensore è stata fatta notare l’assenza dell’imputato per tutto il processo. “Non dobbiamo dimenticare – ha detto il legale - che Matteo Messina Denaro è un malato oncologico, sta male e credo che anche i suoi problemi di salute e le sue condizioni fisiche non gli abbiano consentito di partecipare alle udienze”. Poi ha aggiunto: “Con lui non ho mai parlato. Ho ricevuto soltanto un telegramma da parte sua dove mi chiedeva se fossi disponibile a un colloquio con lui che però non è mai avvenuto e di ciò non conosco le ragioni”