nei confronti di un trentenne del luogo, della metà dell'importo di un assegno circolare di 17 mila euro.
Il titolo era stato emesso dalla banca, su richiesta dello stesso interessato. L'assegno era finalizzato all'acquisto di un'autovettura da lui visualizzata su un sito internet. Acquisto per il quale aveva intrapreso una trattativa privata con il venditore. Quest'ultimo, in vista della formalizzazione della compravendita, come garanzia della serietà dell'affare aveva richiesto al futuro acquirente una fotografia dell'assegno in questione. Foto scattata con lo smartphone ed inoltrata via whatsapp al destinatario.
Da quel momento l'aspirante acquirente dell'auto ha perso ogni contatto con il presunto venditore. Intuendo di essere stato raggirato, ha potuto verificare, recandosi in banca, che quell'assegno, ancorché clonato e ricavato da una foto, era stato regolarmente negoziato presso la filiale di Unicredit di Anzio.
Deluso dal fatto che, dal suo punto di vista, la banca non avesse effettuato i necessari controlli antifrode, ha presentato due denunce: la prima contro ignoti nel tentativo (fin qui vano) di risalire al truffatori, la seconda contro l'istituto di credito, accusandolo di avere violato le proprie responsabilità per non essersi accorto che quello accettato allo sportello era un assegno contraffatto.
Nel procedimento giudiziario che ne è scaturito, tuttavia, il giudice ha accolto solo parzialmente l'istanza del querelante, riconoscendo sia una responsabilità colposa dell'istituto di credito per avere negoziato un assegno contraffatto, sia, al tempo stesso, l'imprudenza dell'acquirente nel fotografare e inoltrare via whatsapp il titolo di credito. Da qui la decisione di riconoscere al querelante, assistito dagli avvocati Luigi Licari e Paolo Porretta, solo la metà dell'importo dell'assegno circolare, che la banca dovrà risarcirgli.