di carcere per Giovanni Luppino, l’autista di Matteo Messina Denaro, arrestato insieme al boss il 16 gennaio del 2023, imputato di associazione mafiosa. Il processo si celebra in abbreviato. L’accusa in aula era rappresentata dal pm della Dda Piero Padova.
Luppino, imprenditore agricolo di Campobello di Mazara, venne indagato per favoreggiamento, ma la sua posizione si è aggravata nel corso delle indagini, quando è venuto fuori che quello che appariva come un “semplice” fiancheggiatore, chiedeva il pizzo per conto del capomafia.
"Mi propose un incontro dicendomi di lasciare a casa il cellulare e poi mi chiese un aiuto economico per Messina Denaro", ha raccontato in aula un imprenditore a cui l’imputato aveva richiesto somme per il boss. "Io rifiutai - ha aggiunto il testimone rispondendo alla domande del pm - Dissi che certe cose non le facevo e che se fosse accaduto qualcosa a me o ai miei familiari sarei andato dai carabinieri".
Al gup che lo processa Luppino aveva raccontato invece che a presentargli Messina Denaro come suo cugino, nel 2020, era stato un compaesano, Andrea Bonafede (il geometra che prestò l’identità al capomafia ndr), che gli avrebbe chiesto di accompagnarlo a Palermo per delle cure. Un giorno, però, il passeggero, conosciuto col nome di Francesco Salsi, si sentì male durante uno dei viaggi per il capoluogo e all'invito di Luppino di andare in ospedale avrebbe detto: "portami a casa, sono Messina Denaro non posso andare in ospedale".
Da allora "per ragioni umanitarie", sapendo che il boss era gravemente malato, l'imputato l'avrebbe continuato ad accompagnare Messina Denaro alle terapie. Il padrino gli avrebbe di volta in volta lasciato nella cassetta delle poste un biglietto con l'orario dell'appuntamento successivo. Racconti che, per gli inquirenti, farebbero acqua da più parti. Dalle analisi delle celle telefoniche dell'autista, che aveva anche stretti rapporti con l’amante del padrino, Laura Bonafede, risulta, che questi avrebbe portato il capomafia in clinica per ben 50 volte in due anni.
Intanto si apprende che i mafiosi volevano candidare alle elezioni comunali di Campobello di Mazara Alessandro Agola, marito di Martina Gentile, la giovane nipote del boss Leonardo Bonafede ai domiciliari per aver aiutato, durante la latitanza, Matteo Messina Denaro. Gentile, profondamente legata al capomafia ricercato, è la figlia di Laura Bonafede, legata sentimentalmente al padrino di Castelvetrano. L'idea della candidatura, poi, sfumò.
La circostanza emerge da una intercettazione, riportata nelle motivazioni della sentenza di condanna a 12 anni, per concorso esterno in associazione mafiosa, dell'ex parlamentare regionale del Pd Paolo Ruggirello. Calogero Giambalvo, l'imprenditore col pallino della politica in cella per estorsione, non sapendo di essere ascoltato, discuteva con un altro affiliato di Agola, all'epoca fidanzato della ragazza e appena ventenne.