ha messo a disposizione il suo studio per i vertici mafiosi, respinge le accuse. Lo aveva fatto anche un anno e mezzo fa, dopo il suo primo coinvolgimento nell'indagine dei Carabinieri denominata “Opuntia”, nome scientifico della pianta del fico d'India, che riesce a riprodursi anche dopo la sua estirpazione. “Non appartengo ad alcuna famiglia mafiosa”, ha riferito il professionista ai magistrati che lo hanno interrogato all'interno del carcere Pagliarelli di Palermo. Anche Matteo Mistretta, trentunenne, tra gli arrestati nei giorni scorsi nell'ambito di un'inchiesta che, rispetto a quella dell'estate del 2016, stavolta si avvale delle rivelazioni del pentito Vito Bucceri, ha respinto le accuse. Significando anche che il dottor Scirica non è neppure il suo medico. Mistretta è finito sotto inchiesta perché sarebbe stato il datore di lavoro di Bucceri, che all'epoca dei fatti finiti sotto la lente d'ingrandimento degli inquirenti era il boss di Menfi. Sì, il lavoro glielo ha dato. Ma evidentemente non ritiene che solo questo sia un fatto penalmente rilevante. Professa la sua estraneità alle accuse anche Cosimo Alesi, che ha ammesso l'amicizia con il saccense Domenico Friscia, iniziata però – ha spiegato – quando non sapeva ancora dei suoi precedenti giudiziari. È stato solo uno degli indagati interrogati ieri, Vito Riggio, di 48 anni, difeso dall’avvocato Calogero Lanzarone, si è avvalso della facoltà di non rispondere. Negli altri interrogatori, quelli di ieri, effettuati al carcere Petrusa di Agrigento, Giuseppe Alesi, di 47 anni, difeso dall’avvocato Luigi La Placa ha risposto a tutte le domande del magistrato, respingendo gli addebiti a suo danno, mentre sia Tommaso Gulotta, di 52 anni, assistito dall’avvocato Accursio Gagliano, sia il saccense Domenico Friscia, di 54 anni, di Sciacca, difeso dall’avvocato Francesco Graffeo, hanno deciso di avvalersi della facoltà di non rispondere. Sono già state presentate istanze di scarcerazione al giudice e gli avvocati stanno preparando i ricorsi al Tribunale del Riesame di Palermo. Nelle 370 pagine dell'ordinanza di custodia cautelare in carcere, gli inquirenti ipotizzano incontri al vertice che avvenivano in luoghi isolati e insoliti: maneggi, abitazioni private e lo stesso del dottor Scirica. Pare che gli indagati temessero di essere intercettati e avrebbero chiesto a delle officine meccaniche compiacenti di eliminare microspie sulle auto da loro utilizzate.