Antonio Maira di 74 anni, Antonio La Marca di 34 anni e Giovanni Turco di 24 anni. Le ordinanze di custodia cautelare in carcere sono state eseguite questa mattina dalla Polizia di Stato, su delega della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Palermo.
Le indagini condotte dalla Squadra Mobile di Agrigento e dal Commissariato di Canicattì sono iniziate ad aprile dello scorso anno in seguito al danneggiamento, seguìto da incendio, che ha interessato la saracinesca di un magazzino nel territorio di Canicattì.
L’attività investigativa ha permesso di ipotizzare che gli arrestati, al fine di preservare gli interessi economici ed imprenditoriali del titolare di un’autofficina anch’egli arrestato, avrebbero costretto la vittima dell’estorsione a non concedere in locazione un magazzino di sua proprietà ad un soggetto che, adibendolo ad officina meccanica, avrebbe potuto rappresentare fonte di concorrenza nella zona. Secondo quanto emerso, i tre si sarebbero recati con fare minaccioso presso l’abitazione della vittima e, in particolare Antonio Maira, già condannato per l’appartenenza alla stidda avrebbe proferito frasi minatorie all’indirizzo della stessa, rimarcando la sua appartenenza all’associazione mafiosa, peraltro nota alla stessa vittima, e ricordandole che “in quella zona comandava lui” e che le avrebbe fatto “la faccia tanta” se mai si fosse permessa di cedere in locazione il magazzino.
Antonio Maira condannato per l’appartenenza alla stidda è stato coinvolto nelle dinamiche operative di quella organizzazione mafiosa, impegnata tra la fine degli anni 80 ed i primi anni 90 nella cruenta guerra con cosa nostra: diversi collaboratori di giustizia lo hanno indicato come soggetto inserito nel gruppo stiddaro di Canicattì e, pertanto, era finito nel mirino della locale consorteria di cosa nostra che intendeva sopprimerlo. Ad essere ucciso, dal clan rivale nel corso della guerra di mafia, era stato il figlio.
Le indagini della Squadra Mobile di Agrigento e del Commissariato di Canicattì, si sono avvalse anche delle dichiarazioni della vittima e dei suoi congiunti che hanno raccontato alla Polizia la spedizione messa in atto con spregiudicatezza dai tre arrestati poche settimane prima del danneggiamento, opponendosi così al pervasivo sistema di controllo del territorio esercitato dalla compagine mafiosa in quella zona del territorio canicattinese.