di Agrigento, con la collaborazione dei loro colleghi di Caltanissetta, è il sequel dell'operazione antimafia dello scorso mese di dicembre, quando nei confronti di 24 persone fu disposto l'arresto dalla Dda di Palermo. Operazione nel corso della quale fu anche sequestrato un arsenale di armi e munizioni, anche da guerra, tra cui una bomba a mano, una mitragliatrice e 80 mila euro in contanti. Nelle scorse ore lo stesso provvedimento è stato notificato dal nucleo investigativo reparto operativo di Agrigento nuovamente agli stessi 24 di un mese fa ma anche ad altre 27 persone, per un totale di 51 indagati: trentasei di loro sono rinchiusi in carcere, ai restanti 15 sono stati concessi i domiciliari. Sono tutti cittadini italiani, gravemente indiziati, a vario titolo, all'interno di un'associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti ed altro, di far parte dell'organizzazione mafiosa denominata cosa nostra. Un'inchiesta che affonda le radici nel 2021, e che ha permesso agli investigatori di ritenere di avere potuto ricostruire l'organigramma delle attività criminali delle famiglie mafiose di Porto Empedocle, il cui capo sarebbe il quarantanovenne Fabrizio Messina, e di Villaseta, dove a comandare invece sarebbe il trentanovenne Pietro Capraro.
Malgrado le numerose operazioni di polizia giudiziaria effettuate in passato, che hanno sensibilmente intaccato la consorteria mafiosa di questa parte del territorio, per gli inquirenti in provincia di Agrigento cosa nostra è a tutt'oggi pienamente operante. Un'organizzazione che sarebbe dotata di quelle che vengono definite "ingenti disponibilità economiche e di numerose armi". Una condizione che si inquadra in un contesto caratterizzato da una instabilità degli equilibri mafiosi faticosaemnte raggiunti nel tempo, cui si aggiungono i sempre più pericolosi, persistenti e documentati collegamenti tra i mafiosi detenuti e gli ambienti criminali esterni, resi possibili da un sistematico utilizzo di apparecchi telefonici da parte degli uomini d'onore o di fiancheggiatori durante i rispettivi periodi di detenzione. Condizione che, di fatto, ne ha lasciato inalternate le capacità di comando mantenendo i contatti e impartendo ordini e direttive a soggetti esterni, commissionando tra gli altri estorsioni, incendi e danneggiamenti. Le famiglie mafiose di Agrigento e Porto Empedocle avrebbero gestito due distinte associazioni dedito al traffico di droga, in collaborazione e in un regime di monopolio in provincia. In quest'ambito gli investigatori hanno sequestrato più di un quintale di hashish, oltre 6 chilogrammi di cocaina e 120 mila euro in contanti che si trovavano distribuiti in cinque pacchi sottovuoto nascosti dentro un'auto. Consorterie che hanno dimostrato di avere intessuto rapporti sia con altri gruppi criminali, sia siciliani che stranieri, in quest'ultimo caso tra Belgio, Germania e Stati Uniti.
È in questo quadro che, secondo gli inquirenti, la società che gestisce il servizio rifiuti nel comune di Agrigento sarebbe stata costretta ad assumere cinque operai di fiducia di alcuni degli indagati, mentre il legale rappresentante di un'altra società, operante nel settore dei carburanti, sarebbe stata costretta a licenziare un dipendente per sostituirlo con un'altra persona. La stessa cosa sarebbe stato costretto a fare l'amministratore della società aggiudicataria dei lavori di riqualificazione di una piazza a Villaseta. Così come la ditta subappaltante sarebbe stata obbligata ad assumere altre persone segnalate dalla mafia. E ancora: due autocarri di una ditta di costruzioni e il furgone di una rivendita di bevande sono stati incendiati, un distributore di carburanti sempre a Villaseta è stato rapinato, un bar di Agrigento non poteva rifiutare di somministrare cibi e bevande gratuitamente, un commerciante di Agrigento doveva pagare un pizzo di mille euro al mese. Infine la Dda ritiene di avere individuato i responsabili dell'esplosione di diversi colpi d'arma da fuoco in un caso contro la saracinesca di un commerciante e in un altro contro la porta d'ingresso dell'abitazione di un agrigentino, "colpevole" di avere litigato con il figlio di uno dei sodali. Atti intimidatori che hanno subito un'improvvisa e allarmanete recrudescenza anche attraverso l'utilizzo di armi nei confronti di chi si sarebbe permesso l'ardire di provare ad osteggiare l'egemonia del gruppo mafioso al vertice della famiglia di Agrigento-Villaseta. Gli arresti di stanotte sono stati tesi a scongiurare la commissione di reati ancora più gravi e, di conseguenza, di una vera e propria nuova guerra di mafia.
Operazione antimafia dei carabinieri del nucleo Investigativo reparto Operativo di Agrigento che hanno eseguito e notificato 48 misure cautelari. Ai 24 fermi delle scorse settimane, sono seguite - fra Agrigento, Favara, Canicattì, Porto Empedocle e Gela - le ordinanze di custodia cautelare a carico di altri 24 indagati che erano rimasti a piede libero lo scorso dicembre. A firmare i provvedimenti è stato il gip del tribunale di Palermo, Antonella Consiglio su richiesta della Dda di Palermo.
L'inchiesta è quella che ha fatto luce sui presunti appartenenti a Cosa Nostra e un'associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti.
Complessivamente 51 gli indagati, di cui 36 ristretti in carcere, mentre per i restanti 15 la misura cautelare degli arresti domiciliari. Durante la notte, i militari dell'Arma hanno eseguito nei confronti degli indagati a piede libero e notificato direttamente in carcere un totale di 48 misure cautelari. Per tre non si è potuto procedere perché, al momento, si trovano all'estero.
Nei confronti dei suddetti 51 indagati, dei quali fanno parte anche tutti i 24 soggetti colpiti lo scorso mese di dicembre dal provvedimento di fermo di indiziati di delitto emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, per 36 di loro è stata disposta la misura cautelare in carcere, mentre per i restanti 15 la misura cautelare degli arresti domiciliari.
Dal dicembre del 2021 a oggi i carabinieri del nucleo Investigativo del reparto Operativo di Agrigento, diretti dalla Dda, hanno cercato di ricostruire l'organigramma e le attività criminali delle famiglie mafiose di Porto Empedocle e di Agrigento Villaseta, con a capo - stando alle accuse - rispettivamente Fabrizio Messina, 49 anni di Porto Empedocle, e Pietro Capraro, 39 anni, di Agrigento.
"Pur essendo stata sensibilmente intaccata nel corso degli anni da varie operazioni - ricostruiscono dal comando provinciale dei carabinieri di Agrigento - , Cosa nostra Agrigentina è tutt'oggi pienamente operante, dotata di ingenti disponibilità economiche e di numerose armi, per di più in un contesto caratterizzato da una instabilità degli equilibri mafiosi faticosamente raggiunti nel tempo, cui si aggiungono i sempre più pericolosi, persistenti e documentati collegamenti tra gli associati ristretti all'interno del circuito carcerario e gli ambienti criminali esterni.
È stato riscontrato, infatti, un sistematico utilizzo di apparecchi telefonici da parte degli uomini d'onore, o di soggetti contigui al sodalizio, durante i rispettivi periodi di detenzione, lasciandone in tal modo inalterate le capacità di comando e consentendo loro di mantenere i contatti con i correi in libertà e di impartire ordini e direttive".