Gli inquirenti sono convinti di aver decapitato la famiglia mafiosa di Marsala che stava cercando di rialzare la testa con il sostegno del boss latitante Matteo Messina Denaro, di cui gli arrestati sarebbero stati dei fiancheggiatori. L'operazione, denominata Visir, è stata condotta dai carabinieri del Ros e dal comando provinciale di Trapani che hanno eseguito un provvedimento di fermo giudiziario firmato dai pm Di Leo e Padova della Dda di Palermo, a conclusione di indagini già avviate dai carabinieri nel 2015. I 14 soggetti sono indagati per associazione mafiosa, estorsione, detenzione illegale di armi e altri reati gravati dall'accusa di avere favorito Cosa nostra. Ma la notizia più importante forse è un'altra. Secondo le stesse indagini, il capo mafia castelvetranese non trascorrerebbe la latitanza lontano dalla Sicilia occidentale. Stando ad alcune intercettazioni, infatti, il boss avrebbe impartito ordini a questi indagati almeno fino al 2015. Una traccia più fresca e più recente, rispetto all'ultima che era datata 2013. In particolare un suo intervento diretto nel 2015 avrebbe messo la "pace" dentro la cosca marsalese in un momento in cui stavano crescendo pericolosi attriti interni a proposito della spartizione dei proventi provenienti dai traffici illeciti e estorsioni. Un picciotto avvertì la cosca marsalese che l'ordine di Messina Denaro era quello di mettersi d'accordo, in caso contrario avrebbe mosso il suo esercito. E la cosca ha immediatamente ubbidito senza discutere. Il blitz sarebbe scattato perché il clan stava programmando un omicidio. Le indagini avrebbero rivelato anche una certa sinergia tra le cosche trapanesi e quelle palermitane.