tra le 8 persone per le quali la Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo ha chiesto il rinvio a giudizio nell'ambito delle risultanze scaturite dall’operazione antimafia denominata “Opuntia”, inchiesta sulle cosche operanti nella valle del Belice condotta dalla Compagnia dei Carabinieri di Sciacca. Il processo è stato chiesto anche per gli altri menfitani Tommaso Gulotta, Giuseppe e Cosimo Alesi, Matteo Mistretta, Vito Riggio, e Pellegrino Scirica. Avanzata istanza di rinvio a giudizio anche nei confronti del saccense Domenico Friscia. La prima udienza udienza del processo preliminare è stata fissata per il prossimo 6 dicembre. La prima operazione Opuntia scattò nel 2016, e giungeva dopo due anni di inchiesta sulla ramificazione della mafia sul territorio belicino, versante agrigentino. Quest'anno c'è stata una seconda tranche. Il nome Opuntia è quello scientifico del fico d'India. La metafora riguarda la capacità di questa pianta di rigenerarsi anche in condizioni di estrema difficoltà. Come dire che non sono stati sufficienti le lenti d'ingrandimento e le luci dei riflettori degli inquirenti per impedire all'organizzazione di risorgere e lavorare sul catalogo tipico: estorsioni, appalti, intimidazioni, ma anche interessi specifici su sale giochi e videopoker. Le dichiarazioni di Bucceri, naturlamente, sono state decisive rispetto a quello che per la DDA è stato il netto rafforzamento del quadro accusatorio. Dichiarazioni, quelle di Vito Bucceri, di cui naturalmente i magistrati si avvalgono anche in ordine a filoni investigativi e atti processuali diversi tra di loro ma, evidentemente, tutti legati vicendevolmente a doppio filo. Per il procuratore aggiunto Paolo Guido e i sostituti Alessia Sinatra, Calogero Ferrara e Claudio Camilleri gli indagati hanno fatto parte di Cosa nostra, con Bucceri quale capofamiglia incaricato di mantenere contatti con Pietro Campo e Domenico Friscia. Quest'ultimo, tuttora in carcere, è accusato anche di aver fatto parte della famiglia mafiosa di Sciacca e di avere svolto il ruolo di consigliere di Bucceri. Ma a fare più sensazione, in questa inchiesta, è stato sicuramente il coinvolgimento di Pellegrino Scirica, un medico di base che avrebbe messo a disposizione il suo studio per incontri riservati ai più alti livelli, sempre col timore che possibili intercettazioni potessero farli finire nei guai. Secondo l'impianto accusatorio la famiglia mafiosa di Menfi avrebbe intrattenuto specifici contatti con Leo Sutera, boss di Sambuca, e con Pietro Campo, esponente della famiglia di Santa Margherita Belice. Tutte relazioni che, secondo la DDA, erano funzionali alla ricostruzione ed alla ricomposizione del segmento associativo che fa riferimento all’area geografica di Sciacca e Menfi già colpito con precedenti operazioni. Le riunioni e gli incontri avevano luogo all’interno di auto, appartamenti di proprietà degli affiliati e in casolari di campagna. Quest’ultimi erano caratterizzati da rigidi protocolli di sicurezza tesi ad eludere eventuali attività di controllo investigativo. Bucceri, che viene ritenuto al vertice della famiglia di Menfi, si avvaleva di un collaudato e fedele numero di collaboratori in grado di costruirgli attorno un circuito relazionale che tentava di blindarlo.