la condanna richiesta per Leo Sutera, presunto capomafia della provincia di Agrigento, nuovamente arrestato qualche mese fa a Sambuca di Sicilia. La richiesta di condanna è stata avanzata dal pm Alessia Sinitra nell'ambito del processo che si svolge a Palermo con il rito abbreviato. Nello stesso processo vengono valutate le posizioni di altri tre soggetti, tutti accusati di favoreggiamento. Si tratta di Giuseppe Tabone, imprenditore di 53 anni; Maria Salvato, fioraia di 45 anni e Vito Vaccaro, di 57 anni. A Sutera, pluripregiudicato e con una lunga sfilza di reati legati all'appartenenza mafiosa, la pubblica accusa ha contestato la recidiva, mentre per i presunti favoreggiatori la richiesta di condanna è di 3 anni e 6 mesi ciascuno.
Una volta uscito dal carcere, secondo l'accusa, Sutera, per tutti 'u prufissuri, sarebbe subito tornato a capo della mafia provinciale, interessandosi di piazzare imprese e uomini di fiducia in taluni lavori da eseguire nel suo regno, Sambuca di Sicilia. Il boss, però, avrebbe avvertito il fiato sul collo delle forze dell'ordine tanto da aver ipotizzato una fuga lontano dall'Italia, cosa che si è appresa da una delle intercettazioni registrate. Così l'operazione venne accelerata e per lui scattarono le ennesime manette. Sutera attualmente è rinchiuso nel carcere di Secondigliano (a Napoli) dallo scorso 29 ottobre. Com'è risaputo, la sua sfera di influenza sarebbe stata piuttosto ampia: non solo l'agrigentino, ma anche il trapanese e il Belice. Questo grazie alla lunga ed accertata amicizia con il latitante Matteo Messina Denaro, con cui fino a qualche anno fa intratteneva comunicazioni tramite il consueto metodo dei pizzini. A proposito di Messina Denaro, è cominciato proprio ieri presso il tribunale di Marsala il processo scaturito dall'operazione "Annozero", un blitz che avrebbe scompaginato l'ennesima rete di fiancheggiatori al servizio del capomafia. Tra gli imputati, anche due cognati di Messina Denaro, ossia Rosario Allegra e Gaspare Como.
Il processo riguarda 18 soggetti sui 33 coinvolti a suo tempo nell'operazione. Secondo l’accusa, Gaspare Como sarebbe stato designato dal boss come “reggente” del mandamento di Castelvetrano. L'organizzazione avrebbe operato nel mondo delle scommesse on line ed è accusata di estorsione e danneggiamenti. Le somme sarebbero servite probabilmente sia per mantenere il mandamento castelvetranese sia per finanziare la latitanza di Messina Denaro, ad oggi ancora irreperibile.