Antonello Nicosia, 48 anni, di Sciacca, era anche al servizio del superboss latitante Matteo Messina Denaro. È questo, secondo la procura della Repubblica di Palermo, lo scenario che fa da sfondo all'operazione Passepartout, quella condotta nelle scorse ore congiuntamente da Carabinieri e Guardia di Finanza e culminata con cinque provvedimenti di fermo, tutti con l'accusa di associazione mafiosa ed appartenenti alla consorteria di Sciacca.
Oltre a Nicosia, in carcere sono finiti anche il presunto capomafia saccense Accursio Dimino, 61 anni, detto “Matiseddu”, (vecchia conoscenza di inquirenti e investigatori sin dai primi anni Novanta, quando fu coinvolto nelle operazioni che sgominarono la famiglia mafiosa di Sciacca all'epoca nelle mani Totò Di Gangi), e tre imprenditori: i gemelli Luigi e Paolo Ciaccio, di 33 anni, e Massimiliano Mandracchia, di 46.
Ma è la figura di Nicosia quella che più di altre sta generando risonanza mediatica. E per ragioni chiare, come possono essere quelle di un sedicente “paladino dei detenuti” che non avrebbe esitato ad essere in qualche maniera al servizio di colui che da 25 anni è la primula rossa di Cosa nostra. Per i PM Nicosia sarebbe stato affiliato alla mafia di Sciacca e contiguo con quella di Castelvetrano.
Con una condanna a 10 anni e mezzo per spaccio di droga dietro le spalle, Nicosia negli anni è pian piano assurto al ruolo di difensore dei diritti dei carcerati, dopo avere fondato un'associazione chiamata “Pedagogicamente” e l'osservatorio Internazionale dei Dirtti dell'uomo di cui era direttore, incassando perfino un contratto di collaborazione con la deputata Giuseppina Occhionero, eletta ex Liberi e Uguali, oggi esponente di Italia Viva di Matteo Renzi. Attraverso di lei (la parlamentare comunque non è indagata) Nicosia aveva accesso (secondo la procura in maniera fraudolenta e strumentale) nei penitenziari italiani, prerogativa questa che, com'è noto, è costituzionalmente riservata proprio a deputati e senatori.
Nicosia, secondo gli inquirenti, avrebbe sfruttato la possibilità di potere entrare in carcere per stabilire contatti anche con esponenti mafiosi dell'area di Castelvetrano, luogo di origine di Messina Denaro, da lui definito “il Primo ministro”. Nicosia avrebbe dunque organizzato un capillare sistema di comunicazione con l'obiettivo di veicolare “pizzini” o messaggi diversi tra soggetti considerati contigui al contesto mafioso siciliano e detenuti già condannati in via definitiva per partecipazione ad associazione mafiosa. Ma non finisce qui. sua attività di divulgazione, fatta anche attraverso una trasmissione televisiva autoprodotta, Antonello Nicosia si occupò in particolare delle condizioni dei condannati al 41 bis nel carcere di Tolmezzo, penitenziario dove si trova recluso il mafioso Filippo Guttadauro, cognato di Messina Denaro. Intervistando un avvocato, nel corso della sua trasmissione dal titolo “Mezz'ora d'aria”, Nicosia si era fatto sostenitore della tesi che la procedura di applicazione delle misure di sicurezza di quel carcere fosse anticostituzionale. Per inquirenti e investigatori dunque Nicosia sarebbe stato pienamente inserito nel contesto mafioso saccense, fatto che emergerebbe anche dalle sue conversazioni con l’uomo d’onore Accursio Dimino. Pesantissima poi l'accusa a Nicosia di avere richiesto eventi delittuosi cruenti in danno di un proprio debitore ad un soggetto ritenuto gravitante nel panorama mafioso saccense.
Nicosia è poi accusato di avere partecipato insieme a due pregiudicati per partecipazione ad associazione mafiosa, di cui un sodale di Messina Denaro, ad una riunione riservata lo risalente allo scorso febbraio a Porto Empedocle. Nel corso diquel vertice i tre avrebbero affrontato alcuni argomenti di rilevante interesse investigativo, chiamando in causa direttamente il citato latitante al quale doveva essere destinata una somma di denaro che gli interlocutori si stavano prodigando a recuperare. Nicosia è accusato anche di essersi impegnato per la realizzazione di un non meglio delineato progetto che, con riguardo al settore carcerario, avrebbe interessato direttamente il latitante Matteo Messina Denaro da cui l’indagato, per l’opera svolta, si aspettava di ricevere un ingente finanziamento, non ritenendo sufficienti i ringraziamenti che asseriva di avere ricevuto dallo stesso ricercato.
Insomma: Nicosia avrebbe sostenuto i mafiosi con un contributo definito dagli inquirenti “rilevante”, anche sfruttando la propria posizione pseudo-istituzionale e il connesso qualificato circuito relazionale, visto che di sé diceva di essere professore di storia della mafia presso l'università californiana di Santa Barbara, nonché quale appartenente al Comitato Nazionale dei Radicali Italiani e direttore della Onlus Osservatorio Internazionale dei Diritti dell’Uomo (O.I.D.U.), operando nell’ambito assistenziale del settore carcerario, accedendo all’interno di alcuni istituti di detenzione e intrattenendo rapporti con operatori penitenziari. Ed è sconcertante la considerazione offensiva della memoria dei giudici Falcone e Borsellino, in merito alle stragi di Capaci e via D'Amelio: “Sono stati incidenti sul lavoro”, dice Nicosia ironico.