Era una delle ragioni per le quali, almeno ogni 40 giorni, cambiava auto, noleggiandone sempre una nuova, diversa, per rendere più difficile, almeno nel suo immaginario, il compito degli investigatori di applicarvi microfoni e cimici. “Li faccio impazzire”: si vantava così Nicosia coi suoi interlocutori. Al capomafia di Sciacca Accursio Dimino, detto “Matiseddu”, aveva detto di avere escogitato questo stratagemma, conoscendo i tempi necessari a carabinieri, finanzieri o poliziotti per ottenere le autorizzazioni a installare le microspie.
Tentativo in parte vano, quello di Nicosia, finito ieri in carcere insieme ad altre quattro persone, tra cui lo stesso “Matiseddu”, visto che la DDA di Palermo ritiene di avere ottenuto lo stesso notizie più che significative per costruire un impianto accusatorio di enorme gravità, quello che inquadra l'ex collaboratore parlamentare dell'onorevole Pina Occhionero (per lui una condanna alle spalle a 10 anni e mezzo per traffico di droga) come un affiliato della mafia di Sciacca e contiguo a quella di Castelvetrano, al servizio del superboss latitante Matteo Messina Denaro, che lui affettuosamente identificava come “San Matteo”. Gli inquirenti non possono non ammettere tuttavia che “la conoscenza dei sistemi tecnici di indagine e la capacità di Accursio Dimino di eluderli facilmente, non ha consentito di accertare compiutamente finora numerosi episodi in cui lo stesso indagato si sarebbe reso autore di minacce, estorsioni e danneggiamenti".
L'inchiesta ha rivelato in ogni caso come Nicosia fosse un uomo istrionico, estroverso, tronfio, sempre a dare di sé l'idea di quello che la sa lunga, di chi è in grado di aggirare qualsiasi ostacolo. A partire da quello che impedisce ai comuni mortali di entrare in carcere da visitatori. A meno che non si diventi collaboratore di un parlamentare. Obiettivo da lui raggiunto e che per qualche tempo gli ha consentito di accedere nei penitenziari e di mettersi subito in contatto con detenuti sottoposti al regime del 41 bis. Essere collaboratore di una parlamentare è stato il suo passepartout per aprire le celle. Passepartout, come il nome dato all'operazione coordinata dal procuratore Francesco Lo Voi e condotta dall'aggiunto Paolo Guido e dai PM Geri Ferrara e Francesca Dessì. Chiave universale che gli permetteva di fare da messaggero (così sostengono gli inquirenti) tra i mafiosi in carcere e quelli a piede libero, in particolare quelli gravitanti nell'orbita di colui (Messina Denaro) che Nicosia definiva anche “Primo ministro”.
Secondo gli inquirenti Antonello Nicosia “costrinse” l'onorevole Pina Occhionero (la deputata di cui diventò collaboratore millantando, stando a quanto sostiene la stessa parlamentare, un curriculum rivelatosi poi farlocco) a fare un'ispezione all'interno del carcere di Tolmezzo, nell'udinese. Guarda caso, lo stesso penitenziario dove è recluso quel Filippo Guttadauro che della primula rossa di Cosa nostra è il cognato. Tutti elementi che fanno ritenere alla procura di Palermo che Nicosia fosse una sorta di messaggero della mafia, malgrado la sua parvenza di difensore dei diritti dei detenuti, qualità ostentata in interviste, programmi televisivi e tanti, davvero tanti post sul suo profilo Facebook.
E d'altronde in tv Nicosia promuoveva campagne “radicali” contro il regime del carcere duro, argomento che, com'è noto, tra i mafiosi fa molta presa. Parlava, parlava ininterrottamente Nicosia. Parlava non certo solo in televisione. Le intercettazioni hanno rivelato infatti come parlasse molto, e pure di un suo impegno per un fantomatico progetto carcerario che doveva essere finanziato addirittura dallo stesso Messina Denaro, visto che quel progetto avrebbe potuto favorire il superboss. Non si capisce in che modo, anche se poi Nicosia diceva che i ringraziamenti che dalla latitanza Messina Denaro gli aveva fatto arrivare non potevano essere certo sufficienti, e che fosse necessario un impegno finanziario piuttosto concreto.
Oggi Nicosia si ritrova sul groppone l'accusa di associazione mafiosa, ed è considerato dalla procura di Palermo personaggio di primissimo piano della consorteria di Sciacca, quella capitanata da Accursio Dimino. Famiglia mafiosa dove Nicosia sarebbe stato più che un ambasciatore, visto come era introdotto addirittura negli ambienti di Montecitorio. Status, questo, che gli ha permesso di scrivere appunti a detenuti eccellenti su carta e buste intestate della Camera dei Deputati, come la lettera all'ex consigliere comunale di Castelvetrano Santo Sacco, poi condannato definitivamente per mafia, sapendo che una lettera proveniente da un membro del Parlamento non può essere sottoposta ad alcun controllo da parte della direzione dell'istituto di pena.
Dalla Occhionero (che ha precisato come la collaborazione sia durata appena quattro mesi, ma che comunque sarà sentita dai magistrati come persona informata sui fatti) Nicosia aveva ottenuto l'impegno a far trasferire Sacco dal carcere di Nuoro a Roma). Altre lettere (sempre con lo stesso metodo della carta intestata della Camera) sono state inviate anche ad altri mafiosi.
E poi entrava fisicamente in carcere come assistente parlamentare, Nicosia, con Pina Occhionero. E qui in carcere incontrava i boss: il capomafia di Montallegro Domenico Marrella al carcere di Agrigento, il mafioso mazarese Simone Mangiaracina nel penitenziario di Trapani, il cognato di Messina Denaro Guttadauro a Tolmezzo. Avrebbe voluto incontrare il boss di Marsala Vito Vincenzo Rallo, ma non ha fatto in tempo. A febbraio l'incontro a Porto Empedocle tra Nicosia, Giuseppe Fontana e Fabrizio Messina, quest'ultimo fratello dell’ex capo provinciale di Cosa Nostra Gerlandino. L’oggetto della conversazione sembrerebbe essere la difficile riscossione di una estorsione dovuta alla famiglia di Castelvetrano.
E ancora: sotto esame i consigli di Nicosia ai parenti dei detenuti su come comportarsi in cella, l'indicazione su come parlare all'orecchio per non farsi sentire dagli agenti di custodia o dai microfoni. E inoltre: i giudizi negativi su Giuseppe Quaranta e Domenico Maniscalco, entrambi coinvolti nell'operazione “Montagna” (il primo diventato collaboratore di giustizia, il secondo, di cui Nicosia e Dimino temevano il possibile pentimento, è stato assolto con il rito abbreviato). Ma gli inquirenti hanno anche scoperto, da un'intercettazione del 29 gennaio di quest'anno, che Nicosia e Dimino avrebbero avuto in programma di fare ammazzare l'imprenditore ittico conserviero Paolo Cavataio. L'omicidio si sarebbe dovuto svolgere in Marocco, paese dove l'imprenditore ha interessi economici. Obiettivo: rendere più complicate le indagini. Per fortuna il progetto criminale non è andato in porto. Ma per dare l'idea della impetuosità del personaggio, un'altra intercettazione rivela come, dopo la condanna a 8 mesi subita nel processo scaturito dall'operazione “Trifoglio”, Accursio Dimino fosse risentito col suo avvocato, da lui ritenuto responsabile di avere commesso degli errori tecnici, non avendo proposto l'applicazione della continuazione fra la prima e la seconda condanna. Pare che nell'ultimo periodo i presunti mafiosi saccensi avessero in programma di fuggire negli Stati Uniti, dove per gli inquirenti Dimino aveva avuto rapporti stretti con la famiglia Gambino. C'è ancora da comprendere il ruolo avuto dagli altri tre arrestati, gli imprenditori Luigi e Paolo Ciaccio e Massimiliano Mandracchia. Di questa inchiesta, a fare scalpore, è stata l'intercettazione nella quale Antonello Nicosia si lamentava che l'aeroporto di Palermo fosse intitolato a Falcone e Borsellino, che secondo lui sarebbero morti in un incidente sul lavoro. È straordinaria la reazione di alcuni saccensi (non molti, purtroppo) che su Facebook hanno pubblicato la foto dei due magistrati antimafia.