Tutti incensurati. Ma ci sono anche loro nell'ordinanza della procura della Repubblica di Palermo che quarantotto ore fa ha dato vita all'operazione antimafia denominata “Passepartout”, che negli obiettivi dei magistrati avrebbe sgominato la famiglia mafiosa di Sciacca. I fermati sono accusati di associazione mafiosa, per avere in qualche maniera, aiutato le presunte attività criminose che venivano condotte da Accursio Dimino e Antonello Nicosia. A Mandracchia viene contestato di avere consentito e favorito le comunicazioni tra i due esponenti di punta dell'organizzazione ponendo stabilmente a loro disposizione il proprio esercizio commerciale per i loro incontri. I fratelli Ciaccio, invece, devono rispondere dell'accusa di avere aiutato Dimino e Nicosia a eludere le investigazioni dell’autorità consentendo e favorendo le loro comunicazioni e i loro spostamenti e rendendosi disponibili a fare da prestanome per utenze telefoniche che servivano a loro.
Inoltre, dalle intercettazioni finite nel provvedimento di fermo, viene fuori come Accursio Dimino si lamentasse con Paolo Ciaccio per il fatto che questi non prestava attenzione a ciò che gli scappava dalla bocca al telefono, a suggellare l'autentica ossessione di “Matiseddu” nei confronti dei controlli e delle microspie. Un'organizzazione a modo suo capillare, nella quale si inseriscono incontri che riguardano i vertici e altre persone, alcune delle quali al momento sono indagate all'interno dell'inchiesta passepartout, tutte collegate ad un sistema che secondo la procura della Repubblica, aveva obiettivi di tipo criminale: estorsioni, danneggiamenti e anche progetti omicidi. Quelli che vengono fuori anche dai contatti tra Matiseddu e gli Stati Uniti, così come dall'attenzione spasmodica e i progetti di avanzare pretese specifiche da parte di Accursio Dimino sulle attività della Bono Sea, l'azienda che gestisce il settore rifiuti a Sciacca.
C'è poi l'ipotesi inquietante di uccidere in Marocco l'imprenditore del settore ittico conserviero Paolo Cavataio. Così come, tra le righe dell'ordinanza della procura, viene fuori la sostanziale e allarmante indisposizione di Dimino e Nicosia per il lavoro svolto dall'imprenditore del settore oleario Michele Bono negli Stati Uniti. Un imprenditore che, secondo quanto si dicevano Dimino e Nicosia, con le sue attività avrebbe danneggiato loro, cosa da evitare anche attraverso l'azione violenta più eclatante, che Nicosia in particolare non esclude di fare in una specifica intercettazione acquisita agli atti.
Insomma: malgrado fossero ossessionati dalle microspie, parlavano tantissimo Accursio Dimino e Antonello Nicosia. Parlavano perfino anche di vecchi omicidi, come quello del maresciallo Guazzelli, e di questioni che riguardavano l'organizzazione mafiosa saccense nel passato, soprattutto del presunto ordine dato da Di Gangi nell'omicidio di Giuseppe Bono risalente a 21 anni fa (omicidio che sarebbe scaturito da un problema di un furto di armi), avvenuto nel periodo classificato all'interno dei “troppi anni di vuoto” (come dice Nicosia) al vertice mafioso sciacchitano, con riferimento (che per gli inquirenti è evidente) al momento in cui Salvatore Di Gangi, capo della famiglia, era detenuto e, al suo posto, aveva assunto la “reggenza” della famiglia di Sciacca Carmelo Bono, detto “Carmine”, ritenuto sia da Nicosia, sia da Dimino, inadeguato per ricoprire quel ruolo.