nell'operazione antimafia denominata “Passepartout”, quella condotta da Carabinieri e Guardia di Finanza. Si tratta della medesima operazione che ha visto la DDA di Palermo far finire sotto i riflettori le azioni e gli interessi di quella che viene considerata a tutti gli effetti la consorteria mafiosa di Sciacca. Il Tribunale del Riesame, a cui il legale di Dimino e Nicosia, l'avvocato Salvatore Pennica si è rivolto, ha respinto le relative istanze di scarcerazione.
Continuano a succedersi, dunque, all'interno dell'indagine, provvedimenti che, di fatto, non sembrano ridimensionare per niente il complesso quadro accusatorio formulato dal procuratore aggiunto Paolo Guido e dai sostituti Francesca Dessì e Geri Ferrara nei confronti di colui (Dimino) che viene considerato il capomafia di Sciacca e di colui (Nicosia) che, nella qualità di collaboratore di una parlamentare, entrava e usciva dalle carceri entrando regolarmente in contatto con detenuti al 41 bis e, secondo l'accusa, portando all'esterno i loro messaggi.
Un'inchiesta che se nei giorni scorsi ha visto la revoca della custodia cautelare in carcere in luogo dell'applicazione della misura meno afflittiva degli arresti domiciliari nei confronti degli altri indagati Massimiliano Mandracchia e dei gemelli Paolo e Luigi Ciaccio (accusati di favoreggiamento aggravato), ha registrato anche l'iscrizione nel registro degli indagati della deputata di Italia Viva Giusy Occhionero, colei che dal suo ruolo, esercitando il diritto di accesso nei penitenziari, di fatto ne agevolava l'ingresso anche a Nicosia. Occhionero che aveva tentato di chiarire la propria posizione nell'interrogatorio al Tribunale di Palermo, evidentemente non riuscendo nel suo intento.
La tesi difensiva di Antonello Nicosia, ex esponente radicale e con una condanna per droga nella sua fedina penale, è stata quella di avere millantato un potere di cui, in effetti, non disponeva e, dunque, di essersi inventato tutte le cose che diceva e che sono finite nelle intercettazioni che lo riguardano; quella di Accursio Dimino, invece, di non avere più alcun ruolo all'interno di Cosa nostra, essendone uscito dopo l'espiazione dell'ultima condanna. Inquirenti e investigatori ritengono però che il contenuto delle intercettazioni acquisite agli atti nel corso dell'inchiesta inchiodino i protagonisti di questa vicenda alle loro responsabilità, in un quadro generale nel quale Dimino e Nicosia sono accusati di essersi occupati di affari illeciti in forme sistematiche di controllo del territorio tipiche del fenomeno mafioso pur in quello che veniva considerato dagli stessi magistrati come un momento di assoluta difficoltà della cosca saccense. Secondo gli inquirenti, inoltre, i due avrebbero progettato perfino un omicidio, quello di un imprenditore di Sciacca, da fare fuori (secondo le intercettazioni) in Marocco. Ancora, Dimino viene considerato al centro di presunti suoi interessi negli Stati Uniti.
Complessa la posizione di Nicosia, che oltre ad essere accusato di essere stato un messaggero tra detenuti e mafiosi a piede libero, ha anche da dimostrare le ragioni per le quali nel febbraio del 2019 a Porto Empedocle incontrò due pregiudicati (di cui uno fidato sodale di Matteo Messina Denaro) e nel corso del quale i tre avrebbero affrontato alcuni argomenti considerati di rilevante interesse investigativo.