non solo non è possibile ribaltare al di là, cioè, di ogni ragionevole dubbio, la sentenza di primo grado trasformandola in condanna ma anzi, in questa sede è stata ulteriormente acclarata l'assoluta estraneità dell'imputato a tutte le condotte materiali contestategli".
È questo uno dei passaggi salienti di quanto affermato dai giudici della corte d'appello di Palermo nelle motivazioni della sentenza del 22 luglio 2019 con cui il collegio ha confermato l'assoluzione in primo grado di quattro anni prima dell'ex ministro Calogero Mannino dall'accusa di minaccia a Corpo politico dello Stato. L'ex politico, assolto anche in primo grado, era sotto processo in uno stralcio del procedimento sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia.
"Non è stato affatto dimostrato – aggiungono i giudici - che Calogero Mannino fosse finito anch'egli nel mirino della mafia a causa di sue presunte ed indimostrate promesse non mantenute (addirittura, quella del buon esito del primo maxi processo) ma, anzi, al contrario, è piuttosto emerso dalla sua sentenza assolutoria che costui fosse una vittima designata della mafia, proprio a causa della sua specifica azione di contrasto a 'cosa nostra' quale esponente del governo del 1991", scrivono ancora i giudici”.
"Insomma – continuano i magistrati - indimostrato il dato fattuale, la tesi della procura con riguardo alla posizione del Mannino (in ordine all'input della trattativa ed allo specifico segmento della veicolazione da parte sua della minaccia allo Stato attraverso il Di Maggio) si appalesa non solo infondata, ma anche totalmente illogica ed incongruente con la ricostruzione complessiva dei fatti, con la quale non combacia da qualunque punto di vista la si voglia guardare".
Ieri il deposito delle motivazioni da parte del collegio presieduto da Adriana Piras, giudice relatrice Maria Elena Gamberini. "Dunque, neppure il contesto in cui la Pubblica Accusa ha inserito la condotta, indimostrata, del Mannino, si attaglia - sostengono i giudici - alla configurazione dell'illecito penale per come contestatogli, prestandosi, come ogni macro evento storico, a chiavi di lettura opinabili, certamente inidonee ad offrire interpretazioni inequivocabili che garantiscano quella certezza, al di la di ogni ragionevole dubbio, richiesta invece dal giudizio penale di responsabilità personale". Non è stato dimostrato, infine, che l'attivazione delle forze di pubblica sicurezza e di intelligence dello Stato fossero rivolte alla tutela della sua persona, dopo le minacce definite “pacifiche e pubbliche” subite da Mannino.
Mannino aveva scelto il rito abbreviato, mentre in quello principale, incentrato sulla cosiddetta trattativa tra Stato e mafia, la Corte di assise, nel maggio 2018, ha condannato a 12 anni di carcere l'ex senatore Marcello Dell'Utri e gli ex carabinieri del Ros Mario Mori e Antonio Subranni; stessa pena per Antonino Cina', medico e fedelissimo di Toto' Riina; 8 anni di reclusione per l'ex capitano dei carabinieri Giuseppe De Donno e 28 per il boss Leoluca Bagarella; 8 anni per Massimo Ciancimino (per la calunnia all'ex capo della Polizia, Gianni De Gennaro).