"Veicolava i messaggi dei boss all'esterno delle celle", nuova richiesta di scarcerazione per Nicosia
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Antonello Nicosia ci aveva già provato ai primi di marzo ad ottenere la scarcerazione, sostenendo, attraverso il suo avvocato, di temere di potere essere contagiato dal coronavirus all'interno del carcere di Voghera, in provincia di Pavia, dove è tuttora recluso. Il tribunale di Palermo, però, rigettò l'istanza. Quello delle scorse ore, dunque, è il secondo tentativo di Nicosia di ottenere almeno gli arresti domiciliari, eventualmente anche con l'applicazione di braccialetto elettronico. La motivazione della nuova richiesta, presentata a nome di Nicosia dall'avvocato Salvatore Pennica, riguarda lo stato di salute del quarantanovenne saccense, arrestato lo scorso novembre nell'ambito dell'operazione antimafia denominata "Passepartout". "Soffre di asma, e la detenzione rischia di aggravarne le condizioni", ha riferito il legale tra le righe dell'istanza avanzata. Legale che, tuttavia, con l'occasione, ha insistito ancora una volta circa la necessità di revocare la custodia cautelare del suo cliente sulla base di quella che viene da lui considerata "una sostanziale carenza degli indizi a carico di Nicosia". Pennica assiste legalmente anche Accursio Dimino, accusato di essere il capomafia di Sciacca, anche lui coinvolto con Nicosia e con altri tre soggetti (più la parlamentare Giusy Occhionero, accusata di favoreggiamento) nell'operazione "Passepartout". Anche di Dimino, ad oggi detenuto a Napoli, nei giorni scorsi Pennica aveva chiesto la scarcerazione, evidenziando come il suo cliente versasse in precarie condizioni di salute, avendo probabilmente bisogno di essere ricoverato anche se, con la pandemia in atto, perfino un accesso ospedaliero - a dire del legale - rappresenti un pericolo per il suo cliente e, di conseguenza, la soluzione migliore per lui sarebbe quella di accordargli una terapia medica direttamente nel suo domicilio. Si attende adesso il pronunciamento della magistratura su queste istanze.
L'indagine a carico di Nicosia e Dimino, condotta dalla DDA di Palermo, aveva messo in evidenza la presunta ripresa dell'attività della famiglia mafiosa di Sciacca. Sullo sfondo: ipotesi di affari illeciti, ma anche l'intento, emerso da alcune intercettazioni acquisite agli atti, di fare uccidere un imprenditore di Sciacca e, dopo avere sospettato di potere essere arrestati, di fuggire negli Stati Uniti. Ma l'operazione Passepartout è finita sotto i riflettori soprattutto per la facoltà che Nicosia aveva acquisito di potere visitare le carceri (nella qualità di assistente parlamentare dell'onorevole Occhionero). Una facoltà che, secondo i magistrati palermitani Paolo Guido, Francesca Dessì e Geri Ferrara, Nicosia (che nel frattempo si era autoproclamato difensore dei diritti dei detenuti aderendo anche ai Radicali) sfruttava per incontrare detenuti al 41bis vicini al superboss latitante Matteo Messina Denaro, facendosi latore dei loro messaggi all'esterno. Vicenda che ha fatto finire nei guai anche la deputata, eletta con Liberi e Uguali e, successivamente, transitata nel gruppo di Italia Viva di Matteo Renzi. I PM hanno notificato l'avviso di conclusione delle indagini alle 6 persone indagate: oltre a Nicosia, Dimino e Giusy Occhionero ci sono anche i gemelli Paolo e Luigi Ciaccio e Massimiliano Mandracchia, questi ultimi accusati di favoreggiamento.
Questo il quadro riepilogativo della situazione nell’Isola, aggiornato alle ore 16 di oggi (martedì 5 maggio),